Pubblica amministrazione, un milione di statali in uscita entro il 2033

L'elevata età media del personale porterà a un massiccio ricambio nei prossimi dieci anni

Pubblica amministrazione, un milione di statali in uscita entro il 2033
di LUCA CIFONI
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 6 Dicembre 2023, 12:01 - Ultimo aggiornamento: 7 Dicembre, 06:00

La previsione, alla fine, potrebbe persino risultare prudente.

Entro dieci anni, scrive l’Inps nel suo recente Osservatorio sui lavoratori pubblici, oltre un terzo dei dipendenti pubblici accederà alla pensione. Dunque l’orizzonte è quello del 2033, ma questo passaggio potrebbe in realtà concretizzarsi anche prima. La stima dell’istituto di previdenza si basa sulla struttura per età del personale riferita al 2022, che dunque verosimilmente si è ulteriormente evoluta nel frattempo: circa l’80 per cento della platea ha quarant’anni o più. La classe di età “modale” (ovvero più numerosa) era quella compresa tra i 55 e i 59 anni, che da sola metteva insieme quasi settecentomila unità: circa un quinto del totale. Il testo ricorda che nel pubblico impiego, con l’eccezione dei regimi speciali, la cosiddetta età ordinamentale è fissata a 65 anni. Vuol dire che al raggiungimento di quella soglia l’amministrazione ha la possibilità di collocare a riposo d’ufficio gli interessati, qualunque forma di diritto alla pensione abbiano raggiunto: ad esempio con la pensione anticipata, quindi prima della soglia della vecchiaia fissata a 67 anni. La previsione dell’Inps non fa che confermare quella già formulata a maggio nel Rapporto Fpa del Centro Studi sull’innovazione della Pa; basata a sua volta su un altro database, il Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato.

Anche in questo caso la quantificazione è di un milione di pensionamenti entro il 2033, per l’appunto circa un dipendente su tre.

Ma ci sono dati ancora più dettagliati. In valore assoluto, è naturalmente la scuola il comparto destinato a sperimentare più uscite, circa 463mila. Mentre per la sanità la stima è di 243mila unità. Ci sono poi settori più piccoli, che però andranno verosimilmente incontro a un ricambio ancora più drastico: è il caso dei ministeri, con oltre 72mila dipendenti sulla via della pensione, che però pesano per il 57 per cento dei dipendenti attuali. Per la presidenza del Consiglio dei ministri si va addirittura oltre il 62 per cento.

IL TEMA

 Approfondendo l’analisi, i risultati appaiono ancora più significativi: l’età media sfiora i 51 anni, ovvero sei e mezzo in più rispetto al 2001. E se è vero che l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa, e che questa struttura demografica fa sentire il suo impatto sull’intero mercato del lavoro, tra gli occupati nel privato e quelli nel pubblico la differenza, sempre in termini di età media, è di ben sei anni a sfavore di questi ultimi. L’assetto anagrafico è già di per sé un problema: non poche analisi collegano questo indicatore a un altro, l’insufficiente preparazione di almeno una parte del personale, in particolare sul fronte della digitalizzazione. Una problematica che sta emergendo nella prova straordinaria a cui la pubblica amministrazione è stata chiamata, quella del Pnrr. La causa principale del fenomeno va ricercata nel blocco delle assunzioni che ha caratterizzato buona parte dello scorso decennio, in nome delle esigenze di finanza pubblica. Ma guardando avanti, la sfida di rimpiazzare i pensionandi si presenta complessa e rinvia in realtà a più questioni distinte – pur se intrecciate – che dovranno essere affrontate. La prima è naturalmente quella finanziaria: nei prossimi anni, in misura sempre maggiore, lo Stato dovrà da una parte farsi carico della maggiore spesa previdenziale nelle gestioni dei dipendenti pubblici, dall’altra reperire risorse fresche per le assunzioni: dal 2023 al 2027 ne sono previste almeno 150mila l’anno. Nello stesso arco di tempo però il nostro Paese dovrà tornare a imboccare la via del rigore finanziario, anche in presenza di nuove regole di bilancio europee. Il ministro della Pubblica amministrazione Zangrillo ha puntato molto sulla velocizzazione delle procedure concorsuali, ma un altro aspetto da tenere in considerazione è evidenziato proprio nel Rapporto Fpa: nei concorsi del 2021-22 l’età media dei candidati è stata di circa 36 anni. Vuol dire che questi ingressi stanno probabilmente aiutando a migliorare la preparazione media del personale (si tratta in larga parte di laureati, con un diploma conseguito spesso diversi anni fa) ma in prospettiva appaiono meno decisivi rispetto all’obiettivo del ricambio generazionale vero e proprio.

LA TRANSIZIONE

 Infine il tema forse più impalpabile e difficile da inquadrare ex ante, ma allo stesso tempo terribilmente concreto: il mercato del lavoro sta attraversando una fase di profonda trasformazione, condizionata anche dalle inesorabili tendenze demografiche. Così anche qualche amministrazione inizia a sperimentare la difficoltà di trovare candidati adatti per varie professionalità (in particolare quelle tecniche) da tempo ben nota alle aziende private. E lo sforzo per rendere attrattivo il lavoro pubblico, cambiando una percezione diffusa, non può ignorare la necessità di rendere le retribuzioni competitive con quelle del privato. D’altra parte i nuovi paradigmi tecnologici stanno cambiando lo scenario: lo Stato non dovrà meccanicamente rimpiazzare le posizioni che si liberano, ma progettare la “macchina pubblica” del futuro individuando le mansioni da valorizzare e potenziare e anche quelle per le quali non saranno più necessari i numeri di oggi. Un compito che richiede capacità di progettazione di medio e lungo periodo: virtù non sempre coltivata dalla politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA