La legge sul whistleblowing
è una tutela o delazione?

di Giovanni Barbara*
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Lunedì 12 Marzo 2018, 18:52
A seguito dell’autorevole intervento della Prof.ssa Livia Pomodoro, incentrato essenzialmente sui tratti caratterizzanti la nuova disciplina, ritengo ora opportuno ampliare la prospettiva e portare all’attenzione alcune potenziali criticità che devono essere adeguatamente valutate dall’ente in sede di recepimento della normativa.

E’ la seconda volta in circa due anni che ho il piacere di tenere una relazione in tema di whistleblowing, a riprova del fatto che tale istituto continui nel tempo a suscitare interesse e a far emergere la necessità di individuare soluzioni operative, oggi più di ieri, a seguito dell’estensione della disciplina al settore privato con l’emanazione della legge 30 novembre 2017, n. 1791, la quale si limita laconicamente a tracciare criteri di massima lasciando molti temi aperti.

Qualche anno fa si parlava di “Coordinamento con la disciplina 231” in ragione dell’11° aggiornamento della Circolare 285 del 21 luglio 2015 di Banca d’Italia, coordinamento che ancora una volta viene in rilievo avendo la novella legislativa di fatto previsto, per il settore privato, che il whistleblowing sia ricompreso nell’ambito della disciplina tracciata dal D.lgs. n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Le criticità che oggi a mio avviso si profilano derivano in primis dalla considerazione che, sebbene il legislatore si sia principalmente preoccupato di accordare tutela al segnalante - come testimoniato dalla stessa rubrica della norma “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato” - c’è anche un altro soggetto del sistema whistleblowing la cui posizione risulta particolarmente delicata, ossia il soggetto segnalato. In particolare, ritengo oggi imprescindibile che si focalizzi l’attenzione anche sulla tutela del soggetto segnalato dal momento che, nei fatti, sarà l’ente di appartenenza a frapporsi tra segnalante e segnalato nella gestione della segnalazione, ma ancor prima nella determinazione delle modalità di gestione della stessa.

Da ciò consegue che l’attività dell’ente, se non adeguatamente calibrata, potrebbe comportare danni irreparabili.

In ragione di quanto sopra, il pericolo è che laddove la tutela accordata al segnalante e quella accordata al segnalato non risultino adeguatamente calibrate ai rischi cui in concreto tali soggetti sono esposti, si potrebbe produrre non solo l’effetto di incentivare l’utilizzo dei canali di segnalazione istituiti in assenza degli elementi richiesti ex lege, ma anche quello connaturato di realizzare una violazione dei diritti fondamentali del soggetto segnalato. Quest’ultimo, potrebbe verosimilmente decidere di agire anche contro l’ente di appartenenza per tutelarsi, sostenendo che le procedure adottate dall’ente stesso abbiano incoraggiato la segnalazione e l’espletamento delle relative attività istruttorie, nonché abbiano ritardato o impedito la possibilità di attivarsi in via immediata per difendersi, garantendo immotivatamente la tutela del segnalante.

La nuova normativa del settore privato - giova ricordarlo - è stata emanata dal legislatore per favorire l’emersione dell’illecito, a beneficio delle necessità di trasparenza e di corretto funzionamento delle imprese, tant’è che è previsto che le segnalazioni di cui si sta parlando dovranno essere presentate, per espressa previsione di legge, a tutela dell’integrità dell'ente2.

In definitiva, una delle principali questioni di cui occorre occuparsi è che la concreta declinazione della normativa, rimessa in larga parte all’autonomia privata, non si traduca in un sistema che arrechi un danno all’ente.

In altre parole le società, scegliendo di aderire al “Sistema 231”3, quindi oggi anche al whistleblowing, dovranno assumere le scelte “strategiche” sulle modalità di recepimento della disciplina, sposare o meno le varie soluzioni operative praticabili considerando adeguatamente la posizione anche, anzi soprattutto, del soggetto segnalato, al fine di ridurre le responsabilità potenzialmente ascrivibili all’ente.

Pertanto, i diritti e le tutele da accordare al segnalato, nel silenzio del legislatore, dovranno a maggior ragione essere opportunamente valutati dagli enti, chiamati oggi a costruire un sistema non solo conforme alla normativa, ma anche equilibrato, che consenta di prevenire qualsiasi forma di responsabilità.

Tale considerazione, peraltro, si allinea perfettamente alla ratio sottesa alla disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti ex D.lgs. 231/2001. Com’è noto, il “Sistema 231” si caratterizza per un’impostazione marcatamente preventiva, ovvero è volto all’individuazione e successiva predisposizione di procedure, protocolli aziendali ed assetti organizzativi, i quali risultino decisivi a scongiurare (rectius prevenire) la commissione dei reati specificamente individuati dal decreto, consentendo quindi alla persona giuridica di andare esente da forme di responsabilità; tant’è che la valutazione sull’idoneità del c.d. Modello 231 afferisce principalmente la sua capacità preventiva.

Alla luce di tali considerazioni, non sorprende che il Garante per la protezione dei dati personali abbia in passato manifestato, con segnalazione al Parlamento e al Governo del 10 dicembre 20094, il proprio scetticismo e la propria preoccupazione circa l’impiego ed il funzionamento dei canali di segnalazione, auspicando che le incertezze normative e le criticità della materia potessero trovare una puntuale regolamentazione attraverso “l'individuazione di una disciplina legislativa che assicuri un equo contemperamento tra i diritti fondamentali delle persone coinvolte e le legittime esigenze di trasparenza e di tutela delle aziende presso le quali questi operano”.

Dopo pochi giorni dall’entrata in vigore della legge, anche al fine di verificare se gli auspici del Garante Privacy abbiano poi trovato effettiva traduzione nel nostro ordinamento, si propongono di seguito alcuni spunti di riflessione, con focus sui connessi riflessi operativi.




La tutela del segnalato nel settore privato e l’utilizzo distorto dei canali di segnalazione istituiti




Oltre ad implementare un sistema che incoraggi l’emersione dell’illecito tutelando al contempo il segnalante, una delle primarie questioni che le imprese si troveranno ad affrontare riguarda l’immissione nel sistema whistleblowing di elementi idonei ad equilibrarlo, ossia a scongiurare il rischio che al lavoratore sia consentito di presentare segnalazioni pretestuose5, e che il tutto si traduca nell’istituzione di un vero e proprio “regime di sospetto”, che incentivi oltremodo l’impiego dello strumento, con un’inaccettabile limitazione dei diritti del segnalato.

Tale questione, di natura operativa ma ancor prima strategica, comporta che le misure poste dal legislatore e tese a tutelare il whistleblower vengano ad essere contemperate dalle società, attraverso l’inserimento di correttivi a tutela del segnalato. Invero, se l’esigenza di tutelare la riservatezza dell’identità del segnalante è sicuramente condivisibile, poiché il timore di subire ritorsioni potrebbe rendere inefficace il sistema e persino paralizzarlo, la necessità di tutelare il diritto di difesa del segnalato sarà parimenti cruciale, soprattutto nel caso in cui la segnalazione sia infondata, circostanza che potrà risultare nella maggior parte dei casi solo ex post.

A ciò si aggiunga che, non di rado, l’effettivo esercizio del diritto di difesa del segnalato non potrà prescindere dalla conoscenza dell’identità del segnalante e che le informazioni connesse alle segnalazioni di cui si sta parlando sono particolarmente sensibili, in ragione del rapporto di lavoro in essere.

Nel silenzio del legislatore, è giocoforza rilevare anzitutto come la tutela del segnalato sia fondata sugli ordinari strumenti accordati dall’ordinamento, tanto in sede civile quanto in sede penale, i quali tuttavia costituiscono strumenti azionabili ex post, ovvero in un momento in cui il pregiudizio ai danni dello stesso, anche solo di carattere reputazionale, potrebbe essersi perfezionato all’interno del contesto lavorativo in cui è inserito. Pregiudizio al quale non sempre sarà possibile porre rimedio.

Ciò detto, nonostante gli ordinari strumenti di tutela, le imprese non potranno comunque esimersi dal considerare adeguatamente i rischi connessi ad eventuali compressioni del diritto di difesa del segnalato che potrebbero essere determinati, ad esempio, da ritardi nell’attivazione degli strumenti di tutela che li rendano inefficaci. Ancora, dovrà essere debitamente considerata la tutela della privacy del segnalato che, più in generale, va protetto dalle delazioni dei colleghi volte ad ottenere vantaggi di natura personale (c.d. segnalazione strumentale), ovvero volte unicamente a danneggiarlo attraverso l’abuso dei canali di segnalazione.

Il tema da affrontare, dunque, è quello relativo ai presidi che è opportuno siano sviluppati attraverso la proceduralizzazione aziendale al fine di tracciare un sistema equilibrato. Presidi che dovranno essere previamente approvati dal vertice gestorio e strategico dell’ente, e che necessitano di essere ponderati con attenzione in relazione alla natura del business svolto, alle dimensioni dell’ente, nonché risultare coerenti con la struttura organizzativa.

Tale questione, può essere sviluppata avendo riguardo alle tre principali fasi del processo de quo: (i) la presentazione della segnalazione; (ii) la gestione della segnalazione; (iii) il sistema disciplinare.

2.1. La presentazione della segnalazione

Per quanto attiene alle modalità di presentazione della segnalazione la normativa, pur presupponendo che il whistleblower si renda riconoscibile al fine di potersi avvalere del regime di tutela accordatogli, non esclude che la denuncia possa essere presentata in forma anonima.

In ragione di ciò, un aspetto delicato che necessita di essere considerato con cautela è quello relativo alla gestione e/o valutazione della segnalazione che venga trasmessa senza elementi che consentano di risalire alle generalità del segnalante, circostanza che renderebbe più complesso l’accertamento della fondatezza della denuncia, ad esclusivo pregiudizio del denunciato.

In tal caso, fermo restando che dovrebbe trattarsi di una scelta strategica dell’organo di vertice, le modalità di gestione in concreto attuate rivestiranno importanza cruciale poiché le soluzioni operative praticabili sono molteplici.

In particolare, una prima ipotesi potrebbe essere quella di prevedere l’inefficacia tout court della segnalazione anonima, opzione che di riflesso eliminerebbe la necessità di valutare la posizione e la tutela del segnalato.

Tuttavia, occorre considerare che la segnalazione, seppure anonima, potrebbe riferirsi a casi particolarmente gravi ed in tali ipotesi è lecito chiedersi se sia o meno opportuno che l’ente aprioristicamente decida di non dare seguito alla segnalazione.

In ragione di ciò, una seconda soluzione operativa da adottare potrebbe essere quella di esplicitare i circoscritti casi specifici in cui la segnalazione anonima possa essere considerata dal destinatario, fermo restando che è necessario che la stessa risulti adeguatamente circostanziata, nonché fondata su elementi di fatto precisi e concordanti (come richiesto espressamente dalla normativa6). In tal caso, dunque, previa deliberazione dell’organo gestorio cui di fatto sono rimesse tali scelte strategiche, l’ente potrebbe decidere di ammettere che in talune circostanze la segnalazione anonima venga gestita, proceduralizzando il processo e tenendo adeguatamente in considerazione le criticità operative che la stessa presenta a tutela del soggetto segnalato. Ad avviso di chi scrive nel caso descritto, comunque, l’organo gestorio dovrebbe avere l’ultima parola.




Ancora, un’ultima soluzione operativa da sposare potrebbe essere quella di omettere qualsiasi determinazione e successiva proceduralizzazione della gestione di tali segnalazioni, la quale potrebbe essere valutata ed eventualmente attuata laddove, sulla base delle circostanze del caso concreto, ciò risulti opportuno. In tal caso, trattandosi di un processo di valutazione discrezionale che si perfeziona in assenza di una procedura che ne disciplini le modalità, è lecito chiedersi chi sia il soggetto deputato a valutare la segnalazione, nonché quali caratteristiche e/o competenze lo stesso dovrebbe avere al fine di assicurare adeguata tutela al segnalato.

Nel rimarcare l’importanza che tali criteri operativi vengano ex ante determinati in seno all’organo di vertice, comunque, a prescindere dall’anonimato ed a garanzia del corretto dispiegarsi del flusso di segnalazioni, potrebbe risultare essenziale una puntuale individuazione degli elementi che ciascuna segnalazione dovrebbe necessariamente recare al fine di trovare seguito.

Più in generale, la circoscrizione degli eventi meritevoli di segnalazione, quindi la mancata gestione delle segnalazioni riferite a fatti che non rientrino in tali ipotesi, potrebbe concorrere a rafforzare il regime di tutela dei soggetti eventualmente segnalati.

La gestione della segnalazione

Con riferimento, invece, alle modalità di gestione delle segnalazioni, prima di entrare nel merito è opportuno riprendere la considerazione secondo cui in taluni frangenti, in presenza di una segnalazione non anonima, l’accertamento della fondatezza di una denuncia, nonché la possibilità di difendersi, non possano in alcun modo prescindere dalla conoscenza dell’identità del segnalante. In ragione di ciò occorre anzitutto occuparsi della posizione del soggetto segnalato, il cui diritto di difesa non dovrà essere in alcun modo compromesso.

La posizione del segnalato

Anche la gestione della segnalazione e le attività connesse vengono rimesse alla proceduralizzazione aziendale ed in tal caso, oltre al riferito diritto di difesa, vengono in rilievo ulteriori delicate questioni di privacy connaturate alla gestione dell’istruttoria7, su cui il legislatore ha omesso di intervenire.

In un tale regime di riservatezza del whistleblower tracciato dal legislatore, potrebbe verosimilmente accadere che venga trasmessa una segnalazione, che successivamente il destinatario la gestisca effettuando le relative verifiche istruttorie e che, laddove dovesse apparire infondata, decida di non darvi seguito senza che il soggetto segnalato abbia mai contezza dell’accaduto. Tale ipotesi, potrebbe costituire di per sé un pregiudizio per il segnalato, considerando che l’accaduto potrebbe essere oggetto di speculazione da parte dei colleghi, a sua insaputa.

Ci si chiede, a questo punto, come mai il legislatore non si sia preoccupato anche della riservatezza del segnalato e non abbia inteso accordargli analoga tutela, considerando che si tratta di un tema parimenti sensibile. Peraltro, per la tutela del whistleblower sono poste le ulteriori disposizioni contro atti ritorsivi8 ed in definitiva il segnalante, all’atto della denuncia, è ben conscio di non poter subire ritorsioni, dunque non avrebbe motivi per omettere la segnalazione evitando l’emersione dell’irregolarità di cui è a conoscenza. In altre parole, la tutela del whistleblower è talmente incisiva che il sistema potrebbe verosimilmente funzionare anche in assenza di incentivi premiali alla delazione9, ovvero in assenza dei presidi a tutela della riservatezza del segnalante.

Oltre a quanto sopra, occorre considerare che le verifiche istruttorie, nei fatti, potrebbero ledere il diritto alla riservatezza del segnalato, a titolo esemplificativo qualora comportino indagini sulla sua corrispondenza, ivi inclusa quella privata. In tali ipotesi è lecito chiedersi anzitutto se è opportuno che l’istruttoria venga gestita dalla società stessa e, laddove la risposta fosse affermativa, quale soggetto e/o organo della società dovrebbe esserne incaricato. Si potrebbe ritenere, peraltro, che sarebbe più equilibrato prevedere che l’istruttoria venga gestita da soggetti terzi, dotati di adeguate competenze tecnico-professionali i quali, estranei alla società, potrebbero agire in modo più imparziale.

Con riferimento al diritto di difesa del segnalato, altra questione da valutare afferisce l’opportunità che le tutele accordate al segnalante vengano ad essere circoscritte dal punto di vista temporale. In altre parole, è lecito chiedersi se la soluzione operativa da adottare non dovrebbe contemplare un limite alle misure di tutela della riservatezza dell’identità del whistleblower, le quali potrebbero ragionevolmente essere calibrate in funzione di limiti temporali che risultino consoni ad accordargli un adeguato, ma anche proporzionato, sistema di tutela che consenta altresì al segnalato di difendersi tempestivamente10.

Il destinatario della denuncia

Ancor prima di chiedersi come debba essere gestita la segnalazione, è opportuno interrogarsi su chi sia il soggetto destinatario della denuncia, altro aspetto non espressamente chiarito dalla nuova normativa. Sul punto, fermo restando che anche in tal caso non si potrà prescindere dal coinvolgimento dell’organo gestorio che dovrà operare le opportune scelte, le soluzioni operative sono molteplici: potrebbe ragionevolmente ritenersi che il destinatario sia l’Organismo di Vigilanza ex D.lgs. n. 231/2001, il quale com’è noto è chiamato a vigilare sul corretto funzionamento del Modello 231 e si trova in una posizione di indipendenza, ovvero potrebbe trattarsi di un responsabile di funzione (ad esempio funzione compliance) o essere costituito da un comitato interno rappresentato da soggetti esponenti delle varie funzioni aziendali.

Ulteriore questione problematica afferisce l’opportunità che il processo di ricezione e gestione della segnalazione si perfezioni interamente in seno all’ente. Potrebbe ragionevolmente ritenersi, infatti, che sia più equilibrato prevedere che la segnalazione venga indirizzata ad un soggetto esterno il quale, coordinandosi con la società ed essendo in possesso di adeguate competenze professionali in materia, coadiuvasse quest’ultima nella formulazione di una valutazione equilibrata e qualificata della segnalazione ricevuta, orientandone la gestione interna.

Tale ultima ipotesi, peraltro, è perfettamente in linea con un’ulteriore previsione posta dalla nuova normativa. Ci si riferisce al comma 2 dell’art. 311 della legge in commento il quale, a dispetto delle previsioni di cui al comma 1 dello stesso articolo12, ammette che il professionista esterno che sia venuto a conoscenza di notizie coperte da segreto professionale in ragione della segnalazione non sia tenuto a rivelarle, potendo legittimamente opporre il segreto professionale. Tale previsione, oltre a comportare che l’eventuale rivelazione della notizia da parte del professionista si configuri come reato, sembrerebbe porsi a tutela non solo del soggetto segnalante, ma anche del segnalato.

Obbligo di denuncia

Ulteriore aspetto da affrontare, nel silenzio della legge, afferisce la denuncia all’Autorità Giudiziaria da parte del responsabile dell’attività di verifica e di analisi della segnalazione.

Se nel settore pubblico, infatti, vige il principio generale secondo cui il pubblico ufficiale che viene a conoscenza di un reato è tenuto a denunciarlo all’Autorità Giudiziaria13, per quanto riguarda il settore privato, in assenza di un obbligo analogo, ci si chiede quali regole debbano orientare l’attività di colui che in concreto verifica e analizza la segnalazione.

Dall’analisi del testo di legge, non sembrerebbero emergere particolari questioni di natura penale a carico del responsabile della gestione della segnalazione e, inoltre, l’eventuale irrogazione di sanzioni connesse con la sua attività sembrerebbe rimessa, ancora una volta, alle determinazioni dell’ente stesso.

Possiamo immaginare, dunque, la situazione in cui potrebbe verosimilmente trovarsi l’organo di vertice della società il quale, in presenza di segnalazioni relative alla commissione di un reato, si troverebbe a dover effettuare valutazioni in merito alla presentazione della denuncia all’Autorità Giudiziaria competente, contemperandole con gli interessi primari dell’ente stesso, tanto di business quanto reputazionali.

Il sistema disciplinare

Con riferimento al sistema disciplinare da istituire presso la società, il legislatore interviene finalmente con una disposizione a tutela del segnalato.

In particolare, è prescritto che nel sistema disciplinare adottato siano previste, oltre alle sanzioni nei confronti di chi violi le misure di tutela del segnalante, anche sanzioni verso chi effettui con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

Tale previsione, che peraltro non veniva contemplata nelle prime formulazioni del testo di legge, si inserisce sicuramente quale punto di equilibrio del sistema, concorrendo non solo a dissuadere il lavoratore dal presentare denunce pretestuose, ma anche a tutelare l’ente nei casi di infondatezza della segnalazione. Sembrerebbe pertanto che l’ente, senza la necessità di una condanna penale, possa egli stesso considerare il dolo o la colpa grave del segnalante in sede di contestazione disciplinare.

Ferma, quindi, la necessità che le società contemplino sanzioni ah hoc per i segnalanti che agiscano con dolo o colpa grave, si profila in concreto la delicata questione connessa con il non agevole accertamento del grado della colpa e dell’elemento psicologico dell’agente.

In definitiva, appare comunque appropriato evidenziare l’opportunità che, in ogni caso, le misure disciplinari siano riconducibili ad una scelta strategica dell’organo gestorio e che nessun procedimento disciplinare risulti basato unicamente sulla segnalazione.




Conclusioni

Emergono dunque diversi temi, connessi con criticità di natura applicativa, determinati principalmente dalla evidente asimmetria tra il grado di tutela accordato al segnalante rispetto a quello accordato al segnalato.

Si tratta pur sempre di un’opzione legislativa di cui occorre prendere atto, soprattutto al fine di gestire con cautela l’ampiezza di scelte organizzative che il legislatore ha lasciato alle imprese ed addivenire alla costruzione di sistemi collaborativi ed efficacemente bilanciati di whistleblowing.

Muovendo da tali premesse alcuni dei temi affrontati, comunque, sono destinati a restare in qualche modo aperti, per lo meno fino a che non si registrino qualificati riferimenti di best practice.

In attesa, ritengo in primis che gli enti interessati dalla nuova normativa debbano valutare l’opportunità di predisporre ed approvare un regolamento interno, quanto più dettagliato possibile, al fine di promuovere la diffusione e la conoscenza effettiva del sistema whistleblowing istituito.

Con riguardo, invece, al soggetto deputato a gestire tale sistema, alcuni commentatori ritengono preferibile affermare la centralità dell’Organismo di Vigilanza, in considerazione della posizione di autonomia e indipendenza allo stesso riconosciuta e quantomeno in virtù del compito di vigilanza sull’osservanza e sul funzionamento del Modello 231 di cui è investito. Ciò evidentemente in alternativa all’attribuzione di tale ruolo a funzioni interne alla società o a consulenti esterni.

La soluzione appare condivisibile, tuttavia una riflessione più approfondita andrebbe svolta nel caso in cui nell’Organismo di Vigilanza venissero nominati non solo amministratori, sindaci e soggetti esterni ma anche dipendenti della società stessa. In tale ultimo caso, infatti, il problema della “conoscibilità” dell’identità del segnalante da parte di un collega dipendente verrebbe a riproporsi, con la necessità di garantire adeguati presidi a tutela della riservatezza.




1 Il provvedimento è entrato in vigore in data 29 dicembre 2017.




2 Cfr. legge 30 novembre 2017, n. 179, art. 2 “Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato”, il quale recita che “[…] I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte […]”.




3 Sull’opportunità di inserire il whistleblowing all’interno della disciplina di cui al D.lgs. n. 231 del 2001 possono formularsi alcune considerazioni. Com’è noto, l’adozione del Modello 231 costituisce una scelta di natura volontaria, nel senso che il legislatore non ha previsto un vero e proprio obbligo giuridico, bensì un onere per l’ente che voglia avvalersi dell’esimente. Sebbene, ad oggi, gran parte delle società operanti in Italia abbiano inteso conformarsi al sistema tracciato dal D.lgs. n. 231/2001, l’introduzione del whistleblowing nel riferito ambito legislativo, comunque, non potrà che tradursi nella creazione di un panorama disomogeneo. Ci si chiede a questo punto se non sarebbe stato opportuno, coerentemente con il fine di valorizzare l’affermazione di tale strumento di contrasto alla corruzione anche nel settore privato, disciplinarlo in un provvedimento autonomo, che lo rendesse obbligatorio per tutte le società.




4 In particolare, sebbene il Garante per la protezione dei dati personali abbia poi dovuto cambiare impostazione e fare i conti con i provvedimenti introdotti in primis nel settore pubblico, con la “Segnalazione al Parlamento e al Governo sull'individuazione, mediante sistemi di segnalazione, degli illeciti commessi da soggetti operanti a vario titolo nell'organizzazione aziendale - 10 dicembre 2009”, si è fatto portavoce dell’opportunità di valutare l’adozione di disposizioni legislative ah hoc, al fine di “individuare i presupposti di liceità del trattamento effettuato per il tramite dei citati sistemi di segnalazione, in particolare delineando una base normativa che definisca, innanzi tutto, l'ambito soggettivo di applicazione della disciplina e le finalità che si intendono perseguire; valutare in particolare, nel processo di perimetrazione sul piano soggettivo della disciplina, se estenderla a ogni tipo di organizzazione aziendale […]; individuare nell'ambito dei soggetti operanti a vario titolo all'interno delle società coloro che possono assumere la qualità di soggetti "segnalati"; individuare in modo puntuale le finalità che si intendono perseguire e le fattispecie oggetto di possibile "denuncia" da parte dei segnalanti; definire la portata del diritto di accesso previsto dall'art. 7 del Codice da parte del soggetto al quale si riferisce la segnalazione (interessato), con riguardo ai dati identificativi dell'autore della segnalazione (denunciante); stabilire l'eventuale ammissibilità dei trattamenti derivanti da segnalazioni anonime”.




5 Con riferimento al settore pubblico, il legislatore ha inteso mitigare il rischio di un impiego distorto del canale di segnalazioni attraverso la seguente disposizione “Le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave” (art. 1, comma 9, legge 30 novembre 2017, n. 179).




6 Si veda, al riguardo, l’art. 2 della legge n. 179/2017, il quale introduce nell’art. 6, D.lgs. 231/2001, il seguente comma: “2-bis. I modelli di cui alla lettera a) del comma 1 prevedono: a) uno o più canali che consentano ai soggetti indicati nell'articolo 5, comma 1, lettere a) e b), di presentare, a tutela dell’integrità dell'ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del presente decreto e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte […]”.




7 A tal riguardo, qualche spunto sulle modalità di gestione dell’istruttoria potrebbe essere tratto dal “Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive”, varato dal Garante per la protezione dei dati personali. Cfr. Provvedimento del Garante n. 60 del 6 novembre 2008, Gazzetta Ufficiale 24 novembre 2008, n. 275, il quale costituisce l’Allegato 6 al Codice in materia di protezione dei dati personali.




8 Alla luce di tale considerazione, si potrebbe ritenere che la tenuta e l’efficacia del sistema whistleblowing possa essere garantita anche laddove l’identità del denunciante non resti necessariamente riservata.




9 Nell’ordinamento statunitense, per esempio, il False Claims Act ha previsto la corresponsione di un premio economico ai whistleblower costituito da una parte della somma recuperata in ragione della segnalazione.




10 Nel settore pubblico, l’ultimo comma dell’art. 1 della legge n. 179/2017 stabilisce che le “Le tutele di cui al presente articolo non sono garantite nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la denuncia di cui al comma 1 ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave”.




11 Art. 3, comma 2, legge 30 novembre 2017, n. 179 recita che “La disposizione di cui al comma 1 non si applica nel caso in cui l'obbligo di segreto professionale gravi su chi sia venuto a conoscenza della notizia in ragione di un rapporto di consulenza professionale o di assistenza con l'ente, l'impresa o la persona fisica interessata”.




12 Art. 3, comma 1, legge 30 novembre 2017, n. 179 recita che “Nelle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate nelle forme e nei limiti di cui all'articolo 54-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, come modificati dalla presente legge, il perseguimento dell'interesse all’integrità delle amministrazioni, pubbliche e private, nonché' alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni, costituisce giusta causa di rivelazione di notizie coperte dall'obbligo di segreto di cui agli articoli 326, 622 e 623 del codice penale e all'articolo 2105 del codice civile”.

13 Si veda art. 361 c.p.
                                                                           * docente di diritto societario
                                                                          all'università di Bari


 
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