Finanza allegra/ La demagogia sulle pensioni penalizza solo i giovani

di Oscar Giannino
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Martedì 20 Marzo 2018, 00:03
Ora che ci avviciniamo alle elezioni dei presidenti delle Camere e alle successive consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo, logica vorrebbe che i leader politici diminuissero gradualmente giorno per giorno il tasso di irrealizzabilità e rischio delle proposte che hanno lanciato in campagna elettorale. E che convergessero invece su misure e impatti di finanza pubblica più seri e reali. 
Se in eventuali governi di coalizione tra partiti o coalizioni diverse dovessimo infatti sommare aritmeticamente redditi di cittadinanza e flat tax, abolizione della legge Fornero e del Jobs Act, e così continuando nella forma in cui sono stati illustrati in campagna elettorale, l’Italia col suo innalzato premio al rischio del debito sovrano potrebbe finire di nuovo in pochi giorni al centro della volatilità dei mercati.

Eppure non è affatto detto che partiti e leader vogliano davvero adottare questa scelta di maggior responsabilità. In Italia non funziona come in Germania, dove i partiti fanno votare i propri iscritti sull’idea stessa di coalizzarsi o meno con un altro partito, e poi anche sul dettagliatissimo programma concordato: un’ottima controprova che frena i leader da proposte e modalità d’ingaggio arrischiate.

Modalità d’ingaggio arrischiate che sarebbero respinte in primis dal voto dei propri militanti. Nell’Italia tornata a una legge elettorale proporzionale, i leader si considerano in campagna elettorale permanente, e le proposte - anzi lo stesso tono battagliero con cui le si avanza - servono innanzitutto a galvanizzare la propria comunità e a farla ulteriormente estendere, non considerano prioritarie le esigenze della governabilità e stabilità.
Una piccola ma insieme non piccola riprova si è avuta ieri, nell’intervista a Repubblica resa da Beppe Grillo. Nel titolo ha preferito lanciare il messaggio politico più generale, quello sulla fine dell’epoca dei “vaffa”, che non significa che i Cinque Stelle siano pronti agli “inciuci”. Ma è nella risposta finale, destinata probabilmente ad attirare poco l’attenzione, che invece il fondatore dei Cinque Stelle cade nel classico errore del «voglio tutto, a cominciare dall’impossibile». «Governare è affrontare il futuro con chi si condivide una visione, non dividere le poltrone e poi scoprire di non avere una visione, e tanto meno comune», dice Grillo. Che poi la sostanzia in concreto: «Le priorità sono i giovani e gli anziani, chi più è stato lasciato solo». 

Sembra un’espressione di circostanza. E forse lo è, chi può dire se davvero Grillo parlasse in libertà o pronunciasse un pensiero attentamente pesato. Di fatto, però, quella frase nella realtà italiana odierna è una contraddizione logica e politica assoluta, che indica scelte non secondo una scala di priorità, bensì di mera astuzia elettoralistica, oltre che in patente contraddizione con le proposte degli stessi Cinque Stelle.
Nella realtà italiana odierna giovani e anziani non sono stati affatto lasciati indietro allo stesso modo. Se sfogliamo la “Indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane” relativa ai dati del 2016, recentissimamente rilasciata dalla Banca d’Italia, constatiamo che tra il 2006 e il 2016 l’incidenza di individui a rischio di povertà per caratteristiche del capofamiglia vede peggiorare dal 22,6% al 29,7% la percentuale in famiglie di cui vi sia a capo una persona fino a 35 anni di età. Mentre l’opposto accade in famiglie alla cui testa vi è un over 65enne, dove la percentuale scende in dieci anni dal 20,2% al 15,7%.

Sappiamo tutti perché: sul totale della spesa sociale italiana la parte preminente - oltre il 15% di Pil l’anno - va in spesa previdenziale. E per questo destiniamo una quota molto minore degli altri Paesi europei ai giovani, alle famiglie, alla conciliazione tra tempi di lavoro e carichi familiari e parentali, all’edilizia sociale per giovani generazioni, alle politiche attive del lavoro che innalzino l’occupabilità giovanile e femminile.
Dire dunque che occorre avere come priorità insieme i giovani e gli anziani significa ancora una volta disperdere le risorse pubbliche, invece di concentrarle sul dramma vero. Quello di un Paese non per giovani e a curva demografica da asfissia.

E come si può conciliare poi questo disinvolto binomio grillino, con le intenzioni spiegate in campagna elettorale di smontare e rottamare la legge Fornero? Facendolo, si otterrebbe l’effetto opposto a quello indicato da Grillo. Si estenderebbe il numero di anni di corresponsione dell’assegno a chi oggi dovrebbe invece andare in pensione a un’età più avanzata, ma in un sistema a ripartizione gli oneri dei contributi da versare per pagare le pensioni ai meno anziani impoverirebbero ulteriormente i più giovani che trovassero lavoro. 
In più, lo sfondamento accresciuto del deficit previdenziale, cioè l’innalzamento della quota di bilancio Inps annuale coperta dalla fiscalità generale oltre i 114 miliardi attuali, sarebbe anch’essa in proiezione futura più a carico delle giovani generazioni che delle coorti anagrafiche più anziane.
Il problema non è se lo sappia o meno Grillo. Ma quanto se ne rendano conto gli italiani, visto che pagherebbero loro gli oneri di governi nati su questa base fantasiosa.
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