Patuelli: «Ora basta ai salvataggi con i soldi delle banche»

Patuelli: «Ora basta ai salvataggi con i soldi delle banche»
di Osvaldo De Paolini
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Giovedì 22 Dicembre 2016, 15:30
Presidente Antonio Patuelli, il 2016 si è rivelato per quel che era: un anno bisestile. Il sistema bancario italiano ha pagato e sta pagando prezzi alti, i risparmiatori sono perplessi, c'è grande disorientamento. Il 2017 porterà ancora cattive notizie?
«Non sono amante delle previsioni, sia perché il futuro contiene sempre più variabili di quelle che immaginiamo sia perché i risultati veri sono quelli dei consuntivi. Ma se proprio devo aprire una finestra sul futuro, mi risulta difficile isolare il tema delle banche dal contesto generale».

Allora collochiamolo nel contesto generale.
«Intanto nel 2017 si capirà dove vorrà davvero andare la nuova presidenza americana, che è sempre determinante per gli indirizzi dell'Occidente. La lunga e non bella campagna elettorale negli Usa ha messo in luce una crisi di identità dell'Occidente che si era già evidenziata con l'avventata scelta della Brexit».

La prendiamo da lontano...
«Arrivo subito al punto. Premesso che la durezza dei problemi non lascia spazio alle illusioni, purtuttavia l'attesa è anzitutto per un disgelo fra Occidente e Russia che possa far superare i reciproci embarghi e favorire la ripresa dei commerci e conseguentemente delle produzioni».

Lei è ottimista, in Europa vedo molte resistenze a recuperare i rapporti con Mosca.
«L'Europa è il punto centrale di una crisi che deve trasformarsi in crescita e non in disgregazione. E da un riavvicinamento con Mosca ha tutto da guadagnare. Se si placa quel fronte, la Ue potrà assumere più facilmente decisioni strategiche sulla sua natura e sulle scelte comuni, anzitutto l'immigrazione e le regole bancarie, le due frontiere più avanzate dei problemi europei».

Siamo dunque alle banche. Che cosa intravede nel loro futuro più immediato?
«Ribadisco, non amo fare previsioni. Posso però dire che agli orizzonti dei salvataggi dovranno presto aggiungersi gli indirizzi per la ripresa sia dello sviluppo sia dell'innovazione sia della redditività».

Non ama le previsioni, però formula auspici. È già qualcosa.
«Osservo che la grave crisi che abbiamo subìto e i limiti e le difficoltà della ripresa mettono il luce una circostanza che nessuno può più negare, e cioè che il ruolo delle banche è decisivo per l'economia di un Paese. Quindi, è ben più di un auspicio pretendere che l'Unione corregga i propri orizzonti strategici e indirizzi regole e risorse in modo meno restrittivo per favorire la ripresa».

Già, l'Unione. Sarà meglio che si sbrighi, visto che con la decisione della Fed la curva dei tassi ha cominciato la risalita.
«Sì, non abbiamo molto tempo davanti a noi, dobbiamo assolutamente approfittare di tassi che in Europa sono ancora infimi, di un'energia che costa ancora poco e di un euro indebolito dalla forza del dollaro. Questa congiunzione miracolosa non durerà a lungo».

Quanto è cambiato il terreno di gioco delle banche con le profonde ristrutturazioni provocate dalle nuove normative europee e dalla tecnologia?
«Premetto che la competizione è anzitutto fra aree di mercato nella stessa Unione, fra zone nazionali dove i fattori produttivi attirano investimenti e altre aree meno attraenti. La sfida per l'Italia è proprio questa: essere più attraente, continuare a correggere le anomalie che la distanziano dai partner più efficienti».

Abbiamo commesso errori. È a questo che pensa? Se avessimo imitato la Germania o la Spagna all'inizio del decennio, infilando a nostra volta i miliardi pubblici necessari nelle nostre banche, oggi non avremmo tanti problemi.
«Una scelta di metodo strategicamente decisiva è anteporre le scelte efficaci e tempestive, anche se impopolari, evitando i rinvii e le non-scelte meno impopolari, ma che non risolvono e lasciano aggravare i problemi con danno di tutti. Sì, abbiamo commesso errori».

Ora però è l'Europa che sbaglia, pretendendo dalle nostre banche un comportamento quasi suicida e che però ad altri è stato e viene risparmiato.
«Le scadenze sono scadenze, e vanno rispettate. In ogni caso in Italia le banche, per tutto ciò che è possibile, hanno fatto molta strada: lo dimostra la forte riduzione del differenziale fra tassi su raccolta e prestiti che ad ottobre era sotto 200 punti base, un valore molto più basso dei 330 antecedenti la crisi».

Resta però il grande tema della modesta redditività degli istituti di credito. Se questa non cresce non si va da nessuna parte. Cambierà qualcosa nel 2017?
«La redditività delle banche è questione fondamentale non solo per milioni di azionisti, ma per l'economia tutta. Così come la crisi ha messo in difficoltà imprese e famiglie, la scarsa redditività delle banche penalizza non solo esse, ma la complessa catena di cui sono l'anello forte».

Come si potrà rimettere in moto anche in Italia il meccanismo virtuoso della redditività?
«Intanto è necessario che sulle banche sane non vengano più scaricati i problemi di quelle in difficoltà, altrimenti i problemi cresceranno senza soluzione di continuità. In nessun altro settore le aziende sane intervengono per salvare le concorrenti che hanno problemi. Se si dovesse proseguire per questa via si minerebbe il ruolo stesso delle banche, rendendolo equivoco e pericoloso. Occorre trovare altre vie per superare le crisi bancarie».

Quindi lei giudica non corretto che un sistema tenda a risolvere le crisi al proprio interno?
«Qui sta l'equivoco. Quello bancario, infatti, non è un sistema, le banche sono tutte diverse e in concorrenza fra loro. Inoltre sono tutte private e non più prevalentemente pubbliche. Anche per questo il mercato vede male questo genere di assistenza o di sostegno».

Che cosa manca oggi che il 2017 potrebbe portare per rendere meno tribolato il cammino delle banche in Italia?
«Occorrono orizzonti di certezza del diritto, di stabilità nelle regole di Basilea che non possono cambiare di continuo. Ci vuole una forte iniziativa della Ue che non si limiti all'Unione Bancaria, ma si impegni per realizzare coerenti testi unici di diritto bancario, finanziario, fallimentare, tributario e penale dell'economia. Solo con regole uniche e una loro applicazione non servile la Vigilanza potrà essere davvero equanime».

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