Bonometti: "Nella manifattura innovazione è la parola-chiave"

Bonometti: "Nella manifattura innovazione è la parola-chiave"
di Giusy Franzese
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Venerdì 25 Dicembre 2015, 17:41
Il rilancio è cominciato nella seconda metà del 2014. Dapprima un po’ titubante, poi sempre più deciso. Il 2015 è stato un anno positivo per il manufatturiero italiano. A trainare il recupero sono le industrie dell’automotive, del farmaceutico, delle macchine utensili e della robotica industriale. Anche l’elettronica, dopo un triennio difficile, chiuderà il 2015 con un incremento del giro di affari del 3%. Il Centro studi di Confindustria, nel suo ultimo rapporto di scenari sul settore, a questo punto è convinto: «Non è una falsa partenza. Ma un nuovo cominciamento impostato su buone fondamenta». La pensa così anche Marco Bonometti, leader degli industriali di Brescia, e numero uno (è presidente e amministratore delegato) di OMR (Officine Meccaniche Rezzatesi), un gruppo che conta 9 stabilimenti in Italia e 6 all’estero, dà lavoro a oltre 3.000 dipendenti e ha come principale attività la componentistica per l’industria dell’auto.

Presidente Bonometti, il boom dell’auto continuerà nel 2016?
"Noi siamo convinti che nei prossimi tre anni ci sarà una crescita costante soprattutto in Europa, dove veniamo da un periodo critico. Nel 2015 in Italia siamo tornati a produrre 800.000 vetture e l’anno prossimo supereremo il milione tornando così alla produzione degli anni pre-crisi".
Non tutti i comparti nel manifatturiero hanno viaggiato alla stessa velocità. Ci sono ancora anelli deboli?
"L’industria italiana manifatturiera ha dimostrato di saper reagire, forse perché ha fatto innovazione e ricerca più di altri settori. Gli anelli deboli sono legati alle aziende energivore, perché è vero che per una serie fattori esterni si è ridotto il costo dell’energia, ma non si è ridotto il gap con gli altri Paesi, visto che continua a mancare una vera politica industriale per il manifatturiero. Eppure è bene che tutti ricordino che l’incidenza del manifatturiero sul Pil è determinante. Se il settore tira si muove l’intera ’economia del Paese".
L’occupazione nel settore è in risalita, ma con ritmi molto più lenti rispetto ai progressi di produzione, fatturato e investimenti. Riusciremo mai a recuperare i posti persi durante la recessione?
"Negli anni di crisi il comparto della meccanica ha perso il 30% della forza lavoro. Prima di assumere nuovi lavoratori, le imprese stanno cercando di riassorbire quelli in cig - nel 2015 la cassa integrazione si è ridotta del 33% - e di stabilizzare i lavoratori con contratti a tempo determinato. In varie zone d’Italia, inoltre, già adesso è ripartita la creazione di posti aggiuntivi. Ad esempio in provincia di Brescia l’occupazione è aumentata dell’1%. E questo anche grazie al Jobs act e agli incentivi alle assunzioni con contratti a tempo indeterminato".
Sconti contributivi che però la legge di stabilità 2016 riduce. Ci sarà un contraccolpo?
"Secondo me no. È stato positivo incentivare per avviare l’inversione di tendenza. Resta però il fatto che un imprenditore assume quando ne ha bisogno, anche senza incentivi".
Il suo gruppo ha assunto durante il 2015?
"Sì, quasi 300 persone quest’anno e 100 ne avevamo assunti già nel 2014. Credo che altri ancora ne assumeremo nel 2016. Al di là delle singole situazioni, però, affinché la spinta sia generalizzata, occorre che la ripresa sia accompagnata da nuove organizzazioni delle fabbriche, nuove relazioni industriali. Il mercato in questi anni è cambiato: sono cambiate le esigenze dei clienti, in termini di qualità, prestazione, prezzo, logistica e quindi dobbiamo cambiare anche le impostazioni delle fabbriche. Che devono essere più flessibili, più competitive. Bisogna fare un salto di qualità".
Quanto può essere rilevante la riforma della contrattazione sulla competitività?
"Molto. Dobbiamo ridurre il numero dei contratti e semplificarne l’attuazione. Noi siamo per un contratto nazionale che fissi le regole del gioco, i diritti, i doveri, e il livello minimo salariale. Gli aumenti devono essere trattati in azienda. In questi anni abbiamo perso circa il 25-27% di produttività rispetto ad altri Paesi, i quali invece hanno recuperato il 4-5%. Prendiamo il costo del lavoro per unità di prodotto: abbiamo un gap rispetto alla Germania di circa il 30%. È importante legare il salario alla produzione, così premiamo anche il merito, chi produce di più è giusto che guadagni anche di più. Ma per distribuire ricchezza, è bene che sia chiaro che bisogna prima crearla".
La frenata dei paesi emergenti a partire da Cina, Brasile e India, potrebbe rallentare la nostra ripresa?
"La Cina invece cresce meno di prima, ma comunque intorno al 4-5%. E poi in quel Paese lì c’è sempre stata una tassa all’importazione, per cui facevamo già fatica prima a vendere i nostri prodotti. Diverso è il discorso del Brasile. In realtà, però, la mia preoccupazione più grossa è se dovesse calare il Pil della Germania o degli Stati Uniti che sono i due paesi di riferimento oggi. Però un paese non può reggersi solo sull’export. Ecco perché noi chiediamo che le imprese, e il manifatturiero in particolare, tornino al centro dell’attenzione del governo".
Non crede che questo governo un po’ di cose le ha fatte per le imprese? Ne cito alcune: la riforma del lavoro con il Jobs act, la decontribuzione, la riduzione dell’Irap, il superammortamento, la Sabatini bis e il bonus macchinari.
"Si è vero, e sono strumenti utilissimi. Ma alcune cose, come il patent box, ad esempio, devono diventare di più semplice applicazione. E poi occorre spingere le aziende a innovarsi. Chi lo ha fatto ha retto meglio durante la crisi. La creatività e il genio italiano sono invidiati in tutto il mondo. Per favorire queste doti serve, tra le altre cose, il credito di imposta per ricerca e sviluppo".
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