Diana Russo, magistrata: «Nella mia vita ho subito sei violenze sessuali. Anche i palpeggiamenti sul bus lo sono»

Diana Russo, magistrata: «Nella mia vita ho subito sei violenze sessuali. Anche i palpeggiamenti sul bus lo sono»
di Valentina Venturi
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Sabato 1 Luglio 2023, 18:57

«Nella mia vita ho contato sei violenze sessuali. Ho impiegato quasi quarant'anni per reagire all'ultima palpatina al supermercato e per mettere a fuoco il primo abuso». Lo racconta in prima persona Diana Russo, pubblico ministero di 43 anni, originaria di Napoli e in magistratura dal 2009. Russo ha svolto le funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso i Tribunali di Palermo, Napoli Nord e Velletri e da diversi anni si è specializzata nei reati in materia di vittime vulnerabili, tra maltrattamenti in famiglia, pedofilia, violenza sessuale, stalking, prostituzione e immigrazione. Un settore per cui ha curato pubblicazioni e ricoperto incarichi di docenza.
Da dove nasce la sua dedizione a tematiche così delicate?

«Forse da mio padre avvocato e da mia madre assistente sociale. Fare il pubblico ministero in questo settore è stato un po' come fare una sintesi della loro esperienza. Al di là dell'aspetto giuridico sono fondamentali l'ascolto e la vicinanza con la vittima». 

In questi anni in magistratura ha avuto modo di comprendere se esista o meno un filo conduttore che lega i femminicidi?

«Purtroppo questi reati sono trasversali: non conoscono né geografia, né ceto, né classe sociale. Ho capito che queste storie si ripetono identiche e ovunque». 


Come definirebbe un femminicidio? 
«Il femminicidio consiste nella reiterazione sistematica della violenza nei confronti della donna in quanto tale, espressione di sovranità patriarcale, e può culminare nell'uccisione della stessa. Quindi include l'omicidio, ma non solo. Ne sono espressione reati abituali come maltrattamenti nei confronti dei familiari e atti persecutori. Nel contesto delle relazioni familiari sono reati che attengono alle dinamiche familiari e sentimentali e spesso si iscrivono nel ciclo della violenza. Il che significa che in una coppia da una parte c'è un partner maltrattante e dall'altra una persona che prova a difendersi. Ma capita che il partner si riavvicini e chieda perdono. A quel punto la donna si illude che la relazione possa proseguire e la dinamica continua. Questo spesso corrisponde, se c'è stata una denuncia, al suo ritiro, ad una marcia indietro nei riguardi del procedimento».


È evitabile? 
«Sono comportamenti che hanno a che fare con l'animo umano, si svolgono sempre nello stesso modo. Ho riscontrato che spesso dipende da famiglie poco tutelanti che le donne abusate hanno alle spalle. È ancora molto diffusa la visione della donna che deve necessariamente avere un partner e una famiglia». 


Cosa risponde a chi sminuisce una denuncia fatta dopo anni dalla violenza subita? 

«Dico che esiste una diversa elaborazione del trauma che risponde a tempi personali. È soggettiva e non sempre può corrispondere ai tempi della giustizia che magari sono più veloci. Dal punto di vista giuridico prima si rende la dichiarazione meglio è, per avere un ricordo non alterato. Però bisogna fare i conti con la tempistica personale del trauma subito». 


Rosalia, Queen, Luca. E poi Claudia, Manuela e Marco. Non sono solo nomi, ma storie segnate dall'ombra della violenza che ha raccolto in un libro. Da dove nasce l'idea di pubblicare le loro esperienze in "Olivia e le altre", volume edito Zolfo?

«Le storie sono state scelte non solo in base alla gravità dei fatti ma anche alle emozioni che ho vissuto in prima persona nel rapportarmi alle vittime».


Nel capitolo "C'est la vie? Una riflessione finale" fa un computo della sua esperienza, rendendola universale.

«Certo. La norma di riferimento è l'articolo 609 bis del codice penale che incrimina la violenza sessuale, che consiste nel costringere taluno, con violenza e minaccia, a compiere o a subire atti sessuali. Ha uno spettro molto ampio e ci rientrano sia lo stupro che la palpatina. In base alla mia esperienza nella violenza sessuale si contano anche le palpatine al supermercato. Io vengo da Napoli e a Posilllipo sul 140 di ritorno da scuola la mano sul sedere ce la siamo presa tutte. Da qui deriva la "normalità del male" del sottotitolo, perché non è normale sebbene sia all'ordine del giorno. A Napoli le donne sono abituate a sentire il fischio per strada o la palpatina, ma non è normale: per chi la subisce è un'invasione della sfera personale. Alla base c'è una considerazione della donna che può degenerare nell'omicidio».

 
Come mai ha dedicato il libro a sua figlia Tosca?
«Le auguro, come auguro a tutti i figli di imparare a riconoscere e a resistere alle ingiustizie intese in senso ampio. La riflessione finale è sull'importanza di chiedere giustizia subito quando si subisce un torto. Senza aspettare». 
 

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