Salvi i manoscritti di Verga: un tesoro da 4 milioni di euro

Salvi i manoscritti di Verga: un tesoro da 4 milioni di euro
di Fabio Isman
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Sabato 20 Luglio 2013, 15:56 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 15:31

ROMA - Messi in salvo dai carabinieri i manoscritti, le bozze, le lettere, perfino un testo mai pubblicato (il primo: aveva 16 anni), di Giovanni Verga (1840 - 1922), l’autore de “I Malavoglia”, il campione del Verismo. Migliaia e migliaia di pagine, fogli, microfilm, lastrine fotografiche. Tutto ancora da studiare, raccontano al Reparto operativo del Comando carabinieri per la Tutela culturale. Sono stati loro, sotto la direzione del procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo e della sua sostituta Laura Condemi, a compiere l’operazione, che chiude anche decenni di aspre querelle su questo materiale, su un autentico bendiddio. Complicatissimi anche da raccontare. Prima di descriverli, per, diciamo subito che tra queste carte, sequestrate in parte a Milano dove stavano per andare all’asta, e in parte a Roma, alla figlia di 76 anni di Vito Perroni, studioso verghiano abbastanza noto e deceduto nel 1978, ci sono 663 pagine di “Amore e patria”, romanzo d’esordio mai edito (ne mancano solo i primi nove fogli), quando Verga aveva 16 o 17 anni; la prima stesura de “I Malavoglia”; le bozze, da lui corrette, di “Mastro don Gesualdo”, del dramma “La lupa”, dei “Carbonari della montagna”. E carteggi con parecchi tra i pi celebri scrittori e personaggi del tempo. In tutto, 36 manoscritti di romanzi e novelle, migliaia di documenti. Valore dichiarato: 4 milioni.


ARCHIVIO IN FUGA
La vicenda inizia addirittura 80 anni fa. Verso il 1930, il figlio dello scrittore, Giovanni Verga Patriarca, consegna l’archivio a Perroni, siciliano trapiantato a Roma, che è Provveditore agli studi ed esperto di Verga: avrebbe dovuto curarne l’opera omnia, da pubblicare nei Meridiani editi da Mondadori. Questo, però, non succede. Sono vani i tentativi dell’erede di Verga per riavere i materiali. Il figlio di Verga Patriarca, Pietro, riesce ad ottenere una sentenza a Catania, nel 1975: gli spetta tutto, è l’erede del nonno. Tre anni dopo, prima ancora di riavere i documenti, li rivende, per 89 milioni di lire del tempo, al Comune di Catania. Che compra ogni cosa, ma ne ottiene soltanto una parte.

Decenni di silenzio. Fino all’anno scorso. Da Christie’s, a Milano, vanno all’asta 80 autografi e 1.689 lettere, di cui 665 dello scrittore. Bloccate. Tra l’altro, non erano in buono stato di conservazione: vengono depositate al Fondo Maria Corti dell’Università di Pavia. E qui, comincia, a Roma, l’ultimo atto. In casa della figlia di Perroni, i carabinieri trovano molto, molto altro. E anche 16 reperti archeologici, dal V al II secolo a.C., frutto di scavi di frodo, perché mai denunciati: vasi a figure rosse di buona fattura. La donna viene denunciata; però, con le leggi in vigore, non rischia certamente molto. «In casa aveva decine di scatole di microfilm, lettere, altri manoscritti: tutte cose da studiare. Si riconoscono le firme di Pirandello, di Croce, di D’Annunzio, e chissà quanto ancora», spiegano al Reparto operativo, comandato dal maggiore Antonio Coppola, gli specialisti dei «carabinieri per l’arte».

CIMELI PREZIOSI
In un libro, grafia assai ordinata e poche correzioni, c’è “Amore e Patria”; il capitolo d’esordio si intitola La spia. Verga non era ancora uno scrittore verista; era imbevuto di romanticismo, qui il bene trionfa sul male, il testo si ispira alla rivoluzione americana. I manoscritti di altri romanzi e novelle, con la sua firma in calce e lo svolazzo in fondo. Tutta la genesi, l’elaborazione del capolavoro, “I Malavoglia”. Le lettere a Luigi Capuana, scrittore e amico, siciliano come lui: il romanzo avrebbe dovuto possedere un carattere di «fresco e sereno raccoglimento»; ma non sarà così. Lo scrittore sfruttava anche il retro di fogli già scritti: non buttava nulla. Appuntava minute di lettere e conti, di cui non voleva disfarsi. Per gli esperti, sarà un grosso lavoro compierne la collazione. Anche le primissime stesure di tre romanzi mai finiti del “Ciclo dei vinti”: “La duchessa di Leyra”, “L’onorevole Scipioni”, “L’uomo di lusso”. Gli acquerelli delle scenografie per la prima di una sua pièce a Milano, teatro Manzoni, 1885. E le lettere: tante. L’affetto per la madre e il fratello Mario («ho ricevuto il vaglia, non la solita lettera del lunedì, voglio sperare che il ritardo sia causato dal cattivo mare»); ad Antonino Abate, il primo maestro; scambia missive con tutti i grandi letterati; 160 missive con Capuana dal 1879 al 1913. C’è la sua vita milanese: il bar Cova, il ristorante Salvini, gli scambi con Emilio Treves e Giuseppe Giacosa. Lo schizzo di un uomo con barba, «questo sono io»: sembra proprio il profilo autografo e firmato di Luigi Pirandello.
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