Trevi non ci sta: «Stop al Premio Strega degli editori»/ L'intervista

Trevi non ci sta: «Stop al Premio Strega degli editori»/ L'intervista
di Leonardo Jattarelli
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Sabato 7 Luglio 2012, 12:26 - Ultimo aggiornamento: 9 Luglio, 09:30

ROMA - Quanto brucia perdere con due soli voti di scarto? Essendo stato sempre in testa, brucia parecchio. Avevo creduto di vincere e invece stata la peggiore sconfitta. Una serata bella, euforica, ma finita male. All’indomani della finale dello Strega, Emanuele Trevi, si sfoga.

Romano, classe ’64, con il suo libro Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie), lo scrittore e critico letterario ha ottenuto 124 voti contro i 126 del vincitore Alessandro Piperno con Inseparabili. Il fuoco amico dei ricordi (Mondadori) in una serata che lo ha visto sempre al primo posto: prima 93 voti sui 90 di Piperno e i 70 di Gianrico Carofiglio, poi 107 sui 95 degli altri due concorrenti e infine l’amara sorpresa.

Qualcosa, anzi molte cose, non vanno. Lo aveva sempre detto Trevi che «ci sono troppe pressioni di grupponi e gruppetti» per il più prestigioso Premio letterario italiano e anche ieri non si è tirato indietro. Noi gli proponiamo un breve riassunto delle puntate precedenti: Mondadori, quattro vittorie consecutive nelle ultime dieci edizioni; i due gruppi, Mondadori e Rizzoli, major dell’editoria, si sono aggiudicati 52 delle 66 edizioni dello Strega. E dire che, alla fine dello spoglio della cinquina, anche lì Emanuele Trevi era risultato vincitore: 92 preferenze sulle 70 di Carofiglio, le 68 di Piperno, le 64 di Marcello Fois e le 38 di Lorenza Ghinelli.

Qualcosa non va «al di là degli assoluti meriti delle opere concorrenti e delle loro case editrici». Trevi ci tiene a sottolinearlo.

Come giudica i libro di Piperno?

«Un ottimo libro. Forse migliore del primo della saga. Questa storia relativa allo struggente rapporto tra fratelli mi è sembrata più riuscita di quella in cui la figura del padre era preminente. Piperno è uno scrittore che sa il fatto suo. Io scrivo cose diverse e ogni tanto scherziamo sui nostri gusti ma Alessandro è uno scrittore vero che conosce le regole del mestiere e lavora sulla pagina scritta».

Dunque cos’è che non va?

«L’ho sempre detto e lo direi anche da vincitore. Non è possibile che a scegliere i libri da votare siano gli editori. Non è questo il meccanismo giusto di un premio letterario. Ed è un discorso che vale per i grandi come per i medi e piccoli editori».

Lei cosa proporrebbe?

«Lo Strega viene usato per la politica editoriale dell’anno in cui di volta in volta si svolge. Dovremmo essere noi giurati invece a proporre quelli che secondo noi sono i migliori titoli della stagione e metterli al voto. Solo così si può uscire dall’impasse».

E le autocandidature?

«Sono patetiche e non risolvono nulla»

Quindi lo scettro dovrebbe passare dagli editori agli autori?

«Non si tratta di un passaggio di scettro. Penso ad una giuria di 30, 40 scrittori che possiedono il gusto della letteratura italiana ai quali dovrebbe spettare la parola. La logica distributiva del Premio finora ha presentato sempre cinque editori diversi. Secondo la mia logica, invece, dalla scelta degli autori potrebbero uscire, che so, anche tre libri di Einaudi o di Mondadori o di Rizzoli ecc. e nessuno ci troverebbe niente di strano, perché la scelta non è editoriale».

Con questo vuol dire che lo Strega non è un premio pulito?

«Assolutamente no. Lo Strega è molto pulito, è una vera democrazia e come in ogni democrazia ci sono poteri forti e altri meno. Io dico soltanto che c’è mancanza di serenità nel giudizio perché gli editori allungano una mano su tutti i premi. I giurati giudicano scelte che non sono le loro. Insomma, i 400 Amici della Domenica vanno benissimo, ciò che non va, per dirla con un termine politico, sono le primarie. Il fatto che sia l’editore a candidare».

Lei da giurato ha subito mai pressioni?

«Ho sempre agito in coscienza ma posso dire di aver ricevuto telefonate che se fossero state registrate e pubblicate avrebbero scatenato un putiferio. Certe volte ti vengono dette cose terrificanti».

Crede sia possibile la rivoluzione che auspica?

«Tutto cambia e bisogna avere il coraggio di farlo. Non c’è nulla di male. Via i sospetti dallo Strega che è un Premio nobilissimo».

Parliamo del suo libro, Qualcosa di scritto. Un giovane scrittore alle prese con il mito Pasolini, guidato per mano da una «pazza» Laura Betti. Come è nata l’idea?

«Io scrivo le cose della mia vita. Mi tornano alla mente e le metto su carta. Così è stato per gli anni in cui, da ragazzo, ho lavorato al Fondo Pasolini. Mi sono riaffiorate alla memoria parole, immagini, atmosfere, come bolle di aria nell’acqua. Poi mi capitò di rivedere l’Esorcista doppiato dalla Betti e lì è scattata la scintilla».

A proposito di Pasolini, dov’è finita oggi la figura dell’intellettuale? E’ scomparsa del tutto o si è soltanto modificata?

«Odio la parola intellettuale, è sinonimo di stronzo. Pasolini invece era un vero uomo. L’ultima parte della sua vita è stata votata ad una sorta di tuffo nel progetto della conoscenza. Non è stata affatto una vita tragica la sua, ma spesa benissimo. Mi piace il suo essere vero».

Trevi, come si esce dalla crisi del libro?

«Offrendo durata ai prodotti. La letteratura esige tempo, oggi invece i libri si mandano al macero in un istante. La vera scommessa è sulla durata di uno scritto, non sulla lettura».

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