I dittatori sono tutti artisti falliti?
Ecco a voi la sindrome di Nerone

Una scena del film "Il dittatore"
di Paolo Di Paolo
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Sabato 8 Giugno 2013, 12:45 - Ultimo aggiornamento: 12:46
Tenetevi alla larga dalla frustrazione. Correte il rischio, se vi sentite artisti mancati, di alimentare sogni pericolosi. Lo scrittore Errico Buonanno, nelle pagine di “La sindrome di Nerone” (Rizzoli), esplora una nutrita serie di biografie dittatori – da Mussolini al coreano Kim Jong-il – per arrivare alla conclusione che dietro molti sogni di gloria e di dominio c’ un fallimento artistico. Nerone sognava di fare il poeta, Hitler il pittore: è il mancato successo in quei campi che sta alla base della loro megalomania politica?

Buonanno, nel suo libro documentato e spiritoso, ci offre parecchi indizi. Il giovanissimo Napoleone Bonaparte, che i conoscenti ricordano come un tenentino sentenzioso, di rara antipatia, avrebbe ammesso di non aver goduto dell’affetto dei più. Deficit di accudimento? «Per farsi amare – scrisse – ci vuole tempo e io ho sempre creduto di non aver del tempo da perdere». Si applica, ben prima delle campagne militari, a scrivere saggi sull’amor di patria e l’amor di gloria o piccoli e malriusciti romanzi su storie di sangue seicentesche. Sottoposte le sue prove a occhi esperti, l’ispirato Napoleone riceve sempre commenti poco lusinghieri. È forse per questo che, a un certo punto, cambia strada?



VIOLINI E POTERE



Se il nostro Mussolini – bambino rissoso e manesco – si convinse ben presto che conveniva lasciarsi alle spalle le ambizioni letterarie, il giornalismo e il violino, persuaso che «per dare savie leggi a un popolo bisogna essere anche un poco artisti», Hitler fu molto più ostinato nell’inseguire il suo sogno di pittore. «Le opere del futuro Führer – scrive Buonanno – oggi ci parlano di un talento medio. Bozzetti, disegni a tempo perso». L’aspirante artista ha però tutt’altra stima di sé, va a Vienna finanziato da mamma e papà e si presenta all’Accademia imperiale. «Prova di disegno insoddisfacente. Poco convincente» fu il perentorio giudizio. Hitler stesso avrebbe raccontato che la bocciatura lo colpì «come un fulmine a ciel sereno»: si presentò dal rettore a chiedere spiegazioni, come un qualunque studente non disposto ad accettare l’insufficienza, e si sentì rispondere che non era assolutamente adatto a fare il pittore. Da questo episodio il giovane Adolf maturò un rancore violentissimo. Avrebbe fatto saltare in aria l’Accademia, si sentiva perseguitato da professori impegnati in un complotto ai suoi danni. Fu bocciato di nuovo nel 1908. Da artista umiliato, gli sembrò che il mondo premiasse mediocrità e sconcezze, non riconoscendo il vero talento. «C’è forse una bruttura o un’indecenza di qualsiasi genere, specialmente nella vita culturale, cui non partecipasse almeno un ebreo?» si domanda nel Mein Kampf.



IL GERARCA



Non stupisce a questo punto che anche il dottor Goebbels, gerarca nazista tra i più feroci, scribacchiasse commedie da ragazzo. Ma certo impressiona che definisse la politica «arte plastica dello Stato» – lui che fu il “dittatore della cultura” del Reich, tra i maggiori artefici della campagna di «arianizzazione». E Stalin? Da ragazzo scriveva poesie romantiche, dedicate allo scintillio della luna e ai boccioli di rosa. In effetti, anche da dittatore, avrebbe avuto sempre un occhio di riguardo per i poeti e per gli artisti.

La storia più prossima a noi che Buonanno sceglie di raccontare riguarda il dittatore nordcoreano Kim Jong-il, in carica dal ’94 alla morte, nel 2011. Suo figlio, il trentenne grassoccio e imperscrutabile Kim Jong-un, minaccia intanto attacchi nucleari a Corea del Sud e Stati Uniti. Il venerato papà aveva un sogno più remoto di quello che l’avrebbe portato al potere: fare il regista. Scrisse negli anni Settanta un saggio sull’arte del cinema e si appassionò ai film d’azione americani, da James Bond a Rambo. Era convinto che la regia fosse «l’arte di guidare il prossimo». Aiuto! Non riuscendo a stare dietro una macchina da presa, si sarebbe occupato di guidare il prossimo con altri mezzi. Buonanno, sul finale, ci mette in guardia dal trascurare l’evoluzione della mediocrità altrui. Anche Saddam Hussein e Gheddafi hanno scritto romanzetti e raccontini. Meglio, per stare sicuri, elogiare sempre gli artisti mediocri?
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