Calvino è arrivato integro fino a noi, e questo nonostante non abbia mai scritto dei cosiddetti best seller (alcuni suoi romanzi hanno venduto bene, ma siamo lontani da certe cifre da capogiro). Come mai non ci ricordiamo dei maggiori bestselleristi del secolo scorso - i vari Pitigrilli, Da Verona, Pini, Invernizio -, e invece festeggiamo il compleanno di Calvino? Io credo che gran parte del merito vada attribuito alla Scuola (le Facoltà umanistiche e la critica letteraria sono ambiti importanti, anche decisivi, ma più circoscritti). Ho letto Calvino già alle medie, e ho continuato a farlo per tutte le superiori. Nessuno, al momento, ha mai scelto un programma scolastico in base alle vendite di questo o quell’autore.
Nessuno si sognerebbe di sapere se Verga ha venduto più di Pirandello, o Pascoli più di Ungaretti. Abbiamo un nostro patrimonio letterario, e finché decideremo di farlo studiare ai nostri figli significa che attribuiamo ancora alla letteratura un valore formativo (e, grazie al cielo, anche deformativo) svincolato da un codice ISBN. D’altronde sarebbe anche la ragione per cui abbiamo istituito le biblioteche: se fossero lì solo per conservare l’intrattenimento puro, più che altro dovrebbero catalogare videogame. E’ come se ogni generazione dovesse affrontare un simbolico diluvio universale letterario. Certi autori (e libri) salgono sull’Arca, altri vengono sommersi dai biblici flutti. Ditemi che anche noi, come le generazioni passate, sapremo distinguere le differenze. Ditemi che anche noi imbarcheremo un altro Calvino (voglio nominarne cinque, viventi, che non possono ascriversi al correntone realista: Michele Mari, Marco Lazzarotto, Laura Pugno, Francesco Permunian, Franco Stelzer).
@LuRicci74
© RIPRODUZIONE RISERVATA