Giorgio Ursicino
MilleRuote
di Giorgio Ursicino

Dakar entra nel futuro, la tecnologia Audi elettrica cambia l'avventura

L'Audi RS Q e-tron vincitrice della edizione 2024 della Dakar
di Giorgio Ursicino
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Martedì 30 Gennaio 2024, 13:41 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 09:29

La solitudine e il silenzio del grande deserto infranti solo dall’urlo del motore che squarciava lo scenario. E, per quanto fosse potente la cavalleria, il cuore termico ansimava soffocato dalla sabbia che assediava gli pneumatici come fosse una palude. Una scena classica della Dakar che Audi ha pensionato in anticipo. La RS Q e-tron, l’astronave che ha dominato quest’anno la maratona dell’avventura, cancella con un colpo di spugna l’atavica immagine. La sfida di Ingostadt, infatti, non era quella di primeggiare sugli avversari, ma di accompagnare la corsa più dura del mondo, che poggiava su basi leggendarie, nel futuro della tecnologia. Il bolide dei Quattro Anelli a trazione completamente elettrica è capace infatti di rispettare anche la quiete di questi sconfinati e incontaminati scenari.

Comparendo dal nulla sulla cresta delle dune più ripide e danzando elegante come Cassius Clay sotto i riflettori. La sfida, più che contro gli spauriti rivali, è un confronto con se stessi: se l’avanzatissimo gioiello tiene, e i piloti riescono a non commettere gravi errori negli otto mila km d’inferno, non c’è ragione che tenga. Per dirigere la complessa orchestra è salito in cattedra il più navigato, il mitico Carlos Sainz che corre coi capelli bianchi, 62 primavere alla spalle e oltre 40 anni di impegno sul campo. Lo spagnolo ha spinto non soltanto sul gas, ma sul buon senso e sulla ragione, controllando dal cockpit del suo indomito caccia ogni più piccolo dettaglio. Non è mai stato il più “scalmanato”.

Non ha vinto nessuna tappa. Ma quando si è ritrovato in testa con i compagni attardati è scattata la strategia pianificata a tavolino da tempo. Un tridente di Audi in formazione, due mostri sacri del volante trasformati in assistenza veloce per consentire all’anziano iberico di correre senza pressione. Bello vedere Peterhansel, vincitore di 14 Dakar, seguire il suo amico per fargli da meccanico. O Mattias Ekstrom (due volte trionfatore nel prestigioso DTM tedesco, Campione del Mondo di Rallycross e 4 volte primo alla Race of Champions, battendo il finale Loeb, due volte Michael Schumacher e, lo scorso anno, il figlio Mick) coccolarlo da vicino.

Gli avversari sono andati in tilt. Hanno intuito che, marciando così, era difficile avere la meglio sulla corazzata tedesca. E hanno chiesto ai loro bolidi di dare il massimo, niente di più rischioso in un percorso pieno di insidie.

Perso il vincitore delle ultime due edizioni Nasser Al-Attiyah, la forte squadra Toyota aveva come punta il pilota di casa Yazeed Al Rajhi, conoscitore dall’Empty Quarter (il deserto di dune più impervio del mondo) come nessun altro. Yazeed era in testa ma, proprio nella tappa di 48 ore, è volato disintegrando il suo Hilux. Di tutti gli altri protagonisti della falange giapponese nessuno aveva un curriculum all’altezza e, benché sono arrivate 6 Toyota nei primi 9, il migliore è stato solo secondo (il belga Guillaume De Mevius). Sua Maestà Al-Attiyah, nuovo compagno di squadra di Sébastien Loeb sull’Hunter della Prodrive (in attesa dell’arrivo della Dacia il prossimo anno), ha faticato ad adattarsi al nuovo mezzo, rinunciando all’indistruttibilità del suo vecchio Hilux ed ha rotto tutto quello che si poteva rompere, tanto che nel finale ha lasciato solo Sébastien contro il tridente germanico.

Era rimasto in lizza il rivale più audace, il nove volte Campione del Mondo Rally Loeb che ha vinto dappertutto, anche alla Pikes Peak, nel Turismo, nelle GT, nel Rallycross e con le elettriche della Extreme E. Seb corre la Dakar dal 2016 ed è salito 5 volte sul podio, 3 in seconda in seconda, 2 in terza posizione. Il cannibale dava l’impressione di potercela fare a recuperare 14 minuti su Carletto a due tappe dalla fine ma, nella penultima, forzando troppo, lasciava la sospensione anteriore sinistra su un grasso masso. Ed ecco lo spirito unico della Dakar: Sébastien, ancor prima di mettersi inutilmente ad armeggiare sul suo Hunter ferito, è corso ad avvisare Sainz di rallentare per evitare di cadere nella sua stessa trappola. Se ancora si corresse ai piedi delle Ande, sarebbe una pagina da libro Cuore.

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