I riferimenti letterari sono sempre quelli, altissimi, della narrativa classica francese: «Sono sempre stato molto influenzato da scrittori come Marcel Proust, Benjamin Constant, Stendhal, Madame de La Fayette, da quei libri in cui la trama è esigua (o non esiste affatto)».
Quattro capitoli divisi in quattro città, Roma, Parigi, New York e poi Alessandria. Come è nato questo romanzo?
«L'ho capito scrivendo, che era il seguito di Chiamami col tuo nome. Samuel ha una relazione con una ragazza, e poi arriva Elio, che gli dà quasi lo stesso consiglio che aveva ricevuto proprio da lui, tanti anni prima: adesso riesco a vederti non come un padre ma come un uomo innamorato».
In questa prima parte, Roma è la vera protagonista.
«Io l'adoro, Roma».
Bisogna evitare di vivere in un luogo, per amarlo?
«Forse. Vorrei tanto restare a Roma per sei mesi di seguito per capirlo».
Ma anche lei, come Samuel, torna sempre negli stessi posti?
«Sempre. Sono le mie veglie, come le chiamo nel libro: quando arrivo in una città torno a vedere i posti dove è successo qualcosa, o forse niente».
E cosa cerca?
«Siamo esseri umani molto complessi, pieni di contraddizioni. Ma, allo stesso tempo, il desiderio è una cosa semplicissima. A Roma la prima cosa che cerco è il supplì di Roscioli; poi il caffé di Sant'Eustachio. Se non sei capace di dire: io adoro una cosa e la voglio mangiare, diventi un po' sterile, come Henry James».
Lei è stato nella Capitale da adolescente, come profugo.
«Esatto, e venivo proprio di fronte al Messaggero a leggere le notizie sulla bacheca, perché non potevo permettermi di comprare il giornale: lo vedo come se fosse ora».
Cosa ricorda con più piacere?
«Il primo anno ho odiato Roma, perché era un mondo completamente diverso. Mi rinchiudevo in casa a leggere. C'erano molte librerie, allora, che vendevano romanzi inglesi o francesi, e per arrivarci bisognava camminare molto in quella Roma storica, barocca. A un certo punto mi sono reso conto che non solo amavo la città, ma temevo di perderla».
Nel suo libro ci sono due personaggi che hanno nomi di protagonisti della "Tempesta" di Shakespeare, Miranda e Ariel: come mai?
«Sono molto contento che se ne sia accorto; in realtà ho scritto di recente una novella, con una protagonista con quel nome, che diventerà un audiolibro. Il personaggio di Miranda è ispirato a una ragazza incontrata casualmente in treno: è l'inizio del romanzo».
Miranda dice che «non è il tempo ad essere sbagliato per noi e nemmeno noi per il tempo. Forse è la vita ad essere sbagliata». Lo pensa anche lei?
«Sì, in fondo la morte è un gravissimo errore. Quando si pensa al tempo, si evoca sempre la morte, anche se non lo diciamo».
A lei interessa soprattutto l'amore allo stato nascente, è così?
«Sì perché è sempre tutto così rapido, quando si incontra una persona da cui ci si sente attratti fisicamente... (si sente uno squillo, ndr) Oh, mi scusi rispondo al telefono. Hallo I have an interview with Rome... Mi scusi è mia moglie, mi dice che c'è un bellissimo articolo su Time magazine sul mio libro. Abbiamo perso il filo, mi scusi»
Parlavamo dell'amore allo stato nascente.
«Sì, i momenti più belli sono sempre all'inizio, quando capiamo che l'altra persona ricambia i nostri sentimenti. Quando si prendono (o si rifiuta di prendere) decisioni molto importanti».
C'è anche un altro tema interessante nel suo libro, la musica.
«In tutti i miei libri, la musica (specialmente la classica) è un modo per esprimere ciò che va oltre le parole. Un modo di dialogare con Dio».
A che punto è il progetto di girare un sequel?
«Un anno e mezzo fa tutti erano pronti ad abbandonare qualsiasi cosa stessero facendo per girarlo; adesso, invece, silenzio totale».
Sono dunque le storie non compiute o non vissute, quelle che ci ricordiamo di più?
«Faccio sempre la differenza tra rimorso e rimpianto. Il rimpianto contiene un universo di possibilità».
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