Ricostruzione di Gaza, Franco Iezzi rappresenta i costruttori internazionali in Palestina: «Diamo alloggio ai profughi, ma ora serve la pace»

Pur senza percepire alcun compenso, il sulmonese rappresenta il 50% della Palestine Development Company (Pdc) costituita nel 1995 a Gaza: si occupa di ricostruzione

Ricostruzione di Gaza, Franco Iezzi rappresenta i costruttori internazionali in Palestina: «Diamo alloggio ai profughi, ma ora serve la pace»
di Ornella La Civita
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Domenica 22 Ottobre 2023, 08:20 - Ultimo aggiornamento: 09:32

«Quando mi domandano da che parte sto, rispondo che sono dalla parte della pace. Che in un conflitto non ci sono civili buoni o civili cattivi. Rispondo che in quella parte di mondo a soffrire sono tanto le famiglie palestinesi quanto quelle israeliane e che è nostro compito fare quanto più possibile per far sì che ogni persona rispetti l’altra qualunque sia la sua storia». A parlare è Franco Iezzi, il sulmonese che, in Palestina, rappresenta l’unica presenza italiana in quel territorio. Pur senza percepire alcun compenso, Iezzi rappresenta, infatti, il 50% della Palestine Development Company (Pdc) costituita nel 1995 a Gaza. La Pdc è una società mista il cui capitale è detenuto per il 50% dall’Autorità Palestinese e per il 50% dalla Società Costruttori Internazionali, rappresentata proprio da Iezzi. La Pdc nacque a seguito dell’Accordo di Oslo del 1993 che produsse una serie di programmi per la ricostruzione e la realizzazione di alloggi destinati ad accogliere il rientro dei palestinesi sparsi per il mondo e nei campi profughi.

«Grazie al Pdc, non senza le difficoltà burocratiche che sono facili da immaginare, la prima opera fu realizzata a Gaza City: una piattaforma di 20.000 mq e la prima di quattro torri, denominata Al Awal -Italian Style che fu ultimata 1999. Nel 2014 il complesso Al Awal fu bombardato dalle forze israeliane e 92 famiglie persero la loro casa. Nel mese di ottobre dello stesso anno fu convocata la Conferenza de Il Cairo composta dai paesi donatori di aiuti per la ricostruzione di Gaza, nel corso della quale fu accolta la nostra proposta di finanziare la ricostruzione del complesso e in questi giorni, alla presenza del console italiano a Gerusalemme, è iniziata la consegna degli appartamenti alle famiglie che lo avevano perso». Un’opera che porta la firma dell’Italia. Così come portano la firma dell’Italia altre opere: ospedali, scuole, edifici pubblici e diverse infrastrutture. «L’opera di cui siamo più orgogliosi è quella della Boys School nel campo profughi di Dheisheh nella periferia di Bethlehem dove vivono in condizione di estremo disagio circa 13.000 profughi. E poi, per quel che riguarda un aspetto legato proprio alla mia vita – dice Iezzi non senza emozione – non posso dimenticare quando stante la mia permanenza in Palestina il cardinale Fagiolo, che avevo frequentato durante lo sua lunga presenza a Chieti nella sua veste di arcivescovo, della Diocesi, a conoscenza del mio hobby per la scultura, mi informò che Giovanni Paolo II gli aveva chiesto di far realizzare un’opera che ricordasse a Bethlehem il Grande Giubileo del 2000. Il Pontefice mi volle incontrare per sottopormi alcune sue indicazioni che attenevano alla sua visione sulle tre religioni monoteiste (i tre anelli della catena del 2000 che invece di cadere in basso, sulla base della legge di gravità, si proiettavano verso il cielo sostenute dalla forza della Pace). L’opera fu realizzata e posata il giorno di Natale, a Manger Street a Bethlehem, alla presenza di Massimo D’Alema, allora presidente del Consiglio dei Ministri».

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