Le spine della ricostruzione:
ignorate troppo bellezze

Le spine della ricostruzione: ignorate troppo bellezze
di Antonella Calcagni
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Mercoledì 13 Aprile 2016, 12:04
L'AQUILA - Non solo chiese fontane, piazze e palazzi gentilizi. «La ricostruzione della città deve passare anche attraverso il recupero della storia e della memoria». Il terremoto del 2009 sta offrendo una preziosa occasione per riscoprire il tessuto urbano della ri-fondazione angioina; una chance purtroppo persa in molti casi. Sono troppi gli esempi nel centro storico di archi quattrocenteschi e trecenteschi rinvenuti in occasione dei restauri di abitazioni private e frettolosamente cementati. Valorizzare quelle emergenze storiche potrebbe regalare un valore aggiunto al centro storico della città, ma sono davvero pochi i privati che decidono quello che sembra davvero un percorso in salita. Tutto funziona perfettamente in presenza di palazzi vincolati, ma quando l'immobile non è protetto dai Bap e viene fuori l'arco a tutto sesto della situazione, nella maggior parte dei casi arriva il panico. Variante al progetto, segnalazione alla Soprintendenza, richiesta di fondi aggiuntivi? Ad avere la meglio è quasi sempre la necessità di tornare a casa in barba alla storia e alla valenza architettonica. Un déja vu anche nei precedenti terremoti che nei secoli hanno tolto, ma anche restituito.

LA MEMORIA - A serbare la memoria di un passato finora ignoto, almeno fino a oggi, è il professor Fabio Redi, docente di Archeologia Medievale all'Università dell'Aquila. «Abbiamo schedato e fotografato le testimonianze storiche restituite dal sisma - ha spiegato - prima che spariscano di nuovo». Il quartiere di San Flaviano è pieno di queste preesistenze che risalgono al periodo trecentesco della città, ma in tutto il centro vi sono parecchi esempi. Grida vendetta l'arco che spunta dalla facciata di un edificio in via dei Sardi, già per metà intonacato. In piazza Regina Margherita c'è il portico di una antica bottega, altri archi si trovano in via Sallustio e lungo corso Federico II. Le foto sono eloquenti. «Vi sono moltissime testimonianze - spiega il professor Redi - Non devono solo esistere le opere monumentali, ma anche gli uomini e le proprie case. La caduta degli intonaci ha portato alla luce archi, porte, paramenti murari del periodo angioino dal 1266 al 1316 quel mezzo secolo in cui vengono ricostruiti i palazzi privati più belli. Perchè non recuperare il più possibile? Non a macchia di leopardo, ma con un criterio di valorizzazione di tutte le preesistenze che dia ragione anche della vita quotidiana. Mi piacerebbe che tutto ciò fosse oggetto di maggiore attenzione. Molte di queste emergenze non sono neanche censite, lo stiamo facendo noi tentando un salvataggio della memoria». «Sarebbe il caso di istituzionalizzare questo lavoro, magari delegandolo all'Università che ha le competenze».

Anche l'assessore alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano si dice rammaricato per la situazione, sottolineando tuttavia che lì dove possibile, le preesistente vengono valorizzate. «Vi sono delle maggiorazioni nei fondi per la ricostruzione in caso di emergenze architettoniche - spiega - Molto sta alla sensibilità del privato e dei progettisti».
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