Ha strangolato il padre, la zia lo accusa e gli chiede i danni

Ha strangolato il padre, la zia lo accusa e gli chiede i danni
di Teodora Poeta
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Giovedì 1 Febbraio 2024, 07:25

Potrebbero essere brevi i tempi del nuovo processo in Corte d’assise d’Appello a Perugia per Giuseppe Di Martino, dove i giudici, adesso, così come da Cassazione, dovranno decidere se applicare un ulteriore sconto di pena ai 21 anni di reclusione che lo scorso marzo erano già stati diminuiti nel secondo grado di giudizio. Per ora il 49enne di Silvi, ritenuto responsabile dell’omicidio volontario del padre Giovanni, aggravato dal vincolo di parentela, continua a stare agli arresti domiciliari con l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico in quella stessa casa dov’è stato commesso il delitto la notte tra il 13 e il 14 giugno del 2019.

Da ormai diverso tempo ha pure ottenuto il permesso di poter uscire due ore per tre volte alla settimana. «Durante quelle ore di permesso aiuta sua madre a fare la spesa o va a fare una passeggiata al mare», racconta il suo difensore, l’avvocato Marco Pierdonati, lo stesso che martedì, nel tardo pomeriggio, gli ha comunicato la notizia della decisione del ricorso in Cassazione. «Quando gli ho telefonato – dice – mi ha ringraziato quasi piangente, anche perché diversamente sarebbe potuto andare subito in carcere. Giuseppe ha sempre detto di trovare ingiusti i 25 e i 21 anni che gli sono stati inflitti in primo e poi in secondo grado ed è per questo motivo che abbiamo presentato il ricorso in Cassazione. Lui quella sera non voleva uccidere il padre, tant’è che ha tentato di rianimarlo».

Ma l’omicidio volontario resta. Ciò che adesso dovrà essere valutata dai nuovi giudici di Perugia è se le attenuanti generiche siano ritenute prevalenti sulle circostanze aggravanti, cosa che potrebbe consentire a Giuseppe di ottenere un ulteriore sconto di pena fino ad arrivare a 12 anni di reclusione. «Il carcere è sempre l’estrema ratio – spiega ancora l’avvocato -, anche perché Di Martino è incensurato e non c’è ancora una sentenza passata in giudicato».

A dicembre, intanto, Maria Di Martino, sorella di Giovanni, che nel processo in primo grado è stata subito esclusa come parte civile, ma per un’irregolarità nelle modalità di notifica, ha avviato adesso una causa civile contro il nipote Giuseppe. «La verità su quanto accaduto è venuta comunque a galla – racconta la zia di Giuseppe – non solo dalle mie dichiarazioni, ma dalle loro bugie e dalle indagini fatte dagli investigatori.

Il mio diritto ad entrare in questa storia adesso la esercito con l’azione civile». In questi anni Maria ha sempre continuato a seguire tutte le fasi del giudizio e come lei stessa ammette: «Non sono mai riuscita a leggere i documenti che poi, di volta in volta, ho richiesto. L’ho fatto fare al mio avvocato e ho chiesto a lui di raccontarmi. È ancora troppo doloroso per me».

Nelle motivazioni dei due gradi di giudizio non c’è traccia del movente «perché non è stato dimostrato», sottolinea l’avvocato Pierdonati. Resta ancora oscuro, insomma, il motivo per cui Giuseppe avrebbe ucciso suo padre, anche se in realtà si è sempre parlato dei soldi, quei quasi 500mila euro, che Giovanni aveva risparmiato con il suo lavoro in Svizzera, di cui sia il figlio, sia la moglie hanno sempre negato di esserne a conoscenza.

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