utolo conobbe Palestini negli anni ottanta quando era nel carcere a Teramo, trasferito da Sulmona e dove per un periodo restò in libertà vigilata. «Sapevo delle sue qualità di pittore e speravo che avrei potuto chiamarlo a Gulianova e sono felice che abbia accettato». Abbiamo raggiunto Mutolo, che risiede in Alt’ Italia, come lui ama dire, telefonicamente e gli abbiamo chiesto innanzitutto come sia nata in lui la passione per la pittura. «Il mio maestro - ha rivelato - fu un calabrese Francesco Mungo che incontrai nel carcere di Sollicciano, detenuti io per mafia e lui per omicidio. La sua pittura mi aveva sempre impressionato e cominciai a frequentare la sua cella e lì appresi i rudimenti della pittura che ha molto alleviato la mia lunga detenzione in varie carceri d’Italia dove ho trascorso trent’anni. Ma poi, a sua volta Mutolo rivela di esser stato maestro di altri capi mafiosi come Luciano Liggio e di Leoluca Bagarella anche se molti quadri di Luciano, che leggeva Socrate ed Aristotele, sono miei».
Alcuni quadri parlano anche della mafia “che mi ha tradito”, ed aggiunge «loro sono stati i veri traditori e io grazie a Borsellino, decisi di saltare il fosso». Tra le sue opere c’è anche un dipinto sulla strage di via D’Amelio, In questo quadro si vede un uomo che tiene la storica e mai ritrovata agenda rossa del magistrato, nell’altra la sua borsa, ma ci sono anche quadri che ritraggono i tetti delle case di Mondello e le colombe bianche che solcano i cieli della sua Sicilia, come ha mirabilmente raccontato Francesco Viviano, «E’ questa la mia prima esposizione in Abruzzo- precisa Mutolo- e sarei venuto volentieri alla mostra ma non posso partecipare per motivi di sicurezza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA