L'Aquila e la valanga del 1983:
oggi come allora la città piange i suoi figli

L'Aquila e la valanga del 1983: oggi come allora la città piange i suoi figli
di Stefano Dascoli
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Mercoledì 8 Febbraio 2017, 09:48
L'AQUILA - Oggi, come 34 anni fa. Immagini e dolori che segnano profondamente, tristi similitudini, persino alcune singolari coincidenze. Il 6 febbraio del 1983 L'Aquila visse un'angoscia molto simile a quella di questi giorni. Una tragedia in montagna che si portò via tre giovani figli, tre alpinisti, tre volontari del Soccorso alpino. Oggi, come 34 anni fa: lo schianto dell'elisoccorso del 118, le sei vittime, alcune delle quali appartenenti proprio al Soccorso alpino. Allora, il 6 febbraio del 1983, morirono Stefano Micarelli, 21 anni , Riccardo Nardis, 32 e Piermichele Vizioli, 33. I funerali di tutti e tre si tennero a San Bernardino, la stessa chiesa che era stata prima designata per le esequie delle vittime dell'elisoccorso del 118 e poi sostituita con l'altra San Bernardino, quella in piazza d'Armi. Oggi, come allora, la città ha assistito attonita e incredula alla morte dei suoi figli. Anche di chi, magari non aquilano, l'aveva scelta come luogo di lavoro o di volontariato, sempre nel segno del grande amore per la montagna. I soccorritori di ieri e quelli di oggi, di Rigopiano, di Campo Felice e dei tanti luoghi in cui ce n'è bisogno.

LA STORIA
Il 6 febbraio del 1983 era una giornata uggiosa, cupa. Nonostante questo l'esercitazione sul Gran Sasso fu confermata. Qualche dubbio in partenza, ma poi prevalse il senso del dovere, dell'attaccamento, della passione. Stefano, Riccardo e Piermichele partirono all'alba. A metà giornata una valanga li travolse, insieme ad altri tre compagni, in località Vaccareccia, a monte della Jenca.
Stefano, 21 anni, era uno studente di medicina, uno dei più giovani del gruppo, un appassionato della roccia, dello sci, uno spirito libero. Uno che non diceva mai di no e che non conosceva paura. Riccardo, 33 anni, era più esperto, già un importante riferimento per chi approcciava a quelle imprese. I loro due corpi furono ritrovati subito, nella giornata del 6, ma le condizioni terribilmente avverse non consentirono il recupero, che avvenne invece il 7. E proprio il 7 furono stroncate le speranze di trovare vivo Piermichele, trovato nel pomeriggio di quella funesta giornata. Aveva 32 anni e lasciava Annamaria, sua moglie, e piccoli Lorenzo e Valeria. Qualche anno fa Lorenzo, da giovane rugbista, lo ha raggiunto in Paradiso, strappato alla vita da un brutto male.

«A tanti anni di distanza - racconta sul suo blog Paolo De Angelis, che partecipò alle ricerche - ancora, la sera, quando guardo il Gran Sasso innevato , la mia mente corre a quell'episodio. Qualche tempo fa, in inverno, una domenica per me particolarmente triste, ho percorso il versante sud di monte Ienca e sono sceso a nord, li dove era avvenuta la tragedia. C'era molta neve, come allora, i bassi alberi ed il luogo non ispiravano nulla di pauroso, il pendio non incuteva timore di valanghe. Per sfida sono sceso nel canalone. Dal 6 febbraio 1983 non ero tornato più in questi luoghi. Mi è venuto da pensare perché ora la valanga non si muoveva. Tra di me le lanciavo la sfida. Chissà, se ci fossi stato io, forse Stefano non sarebbe morto. Lui mi avrebbe certamente seguito come sempre e, chissà, forse io non sarei passato nel canale. Forse ancora una volta il mio intuito mi avrebbe salvato, salvando Stefano con me. Oppure forse questa volta il destino mi avrebbe fatto pagare il conto degli anni precedenti seppellendomi con i miei amici».

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