Renzi-Marino, la resistenza del sindaco: «Sono nel giusto, non mollo»

Renzi-Marino, la resistenza del sindaco: «Sono nel giusto, non mollo»
di Simone Canettieri
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Mercoledì 17 Giugno 2015, 06:19 - Ultimo aggiornamento: 08:32
Quando a mezzogiorno, Matteo Renzi sembra avergli tirato giù il sipario in testa, Ignazio Marino si presenta sorridente al teatro dell'Opera. E confessa che oggi «sprizza gioia da tutti i pori», perché l'ente lirico è stato risanato. «Dimettermi? Penso alla città», dice con una mezza smorfia impastata di tensione e spintoni del suo staff. La giornata della resistenza del «Marziano dimezzato» - come lo chiamano in Campidoglio gli uscieri sempre pronti ad annusare l'aria che tira - sarà tutta così. Dissimulare in pubblico. Negare l'evidenza. Non rispondere agli affondi di Renzi, che più passano le ore e più diventano ultimativi.



LO SCAMBIO

All'ora di pranzo il premier intercettato alla Camera a chi gli chiede di Marino risponde così: «Mi scusi, ma stiamo parlando di cose serie». La battuta finisce sulle agenzie. Il sindaco incassa, fa un pranzo leggero a base di frutta, c'è chi giura di averlo visto passeggiare sul tapis roulant che si è fatto montare in ufficio «per scaricare». E' abbarbicato in Campidoglio. Sotto, la piazza è blindata da tre camionette dei carabinieri e da due della polizia. D'altronde sono giorni di manifestazioni e proteste dai grillini a Casapound. I suoi collaboratori più fidati sono spaesati: «Dobbiamo capire: Renzi ce l'ha con noi per Mafia Capitale o in generale?». Una cosa è chiara. Sia alla domanda numero uno sia alla numero due Marino risponde sempre picche: non molla.



«Preferisce fare l'ultimo dei giapponesi», spiega un assessore della sua giunta, abbastanza scettico sul futuro. «Io oggi parlo di cultura», dice il sindaco all'ora di pranzo. «Renzi? Io adesso sto andando dal Papa», risponde in tarda sera, prima di andare alla Nunziatura Apostolica in Vaticano. Dal salotto di Porta a Porta gli sono appena arrivati un paio di uno-due che stordirebbero Primo Carnera. «Ignazio - riflette qualcuno in giunta - è rimasto solo, ma con due punti fissi: si chiamano Jorge Mario Bergoglio e Giuseppe Pignatone. E si attaccherà a loro se la situazione dovesse ancora di più precipitare, ma fidatevi di me, lui non si muove da dove sta».



Il primo è il capo della Procura che ha scoperchiato Mafia Capitale («Grazie anche alle mie segnalazioni» si è sempre vantato il chirurgo dem); il secondo è il Papa, a cui è legato da un «rapporto personale» arricchito da una serie di battute finite sui giornali («Ignazio, con questa barba mi sembri un francescano», giusto per citare una delle più gustose). E non un caso se ieri, nelle ore più difficili mentre girava già come toto-sindaco del Pd Roberto Giachetti o Mister Wolf Franco Gabrielli, Marino si sia sfogato così: «Qui parliamo di massimi sistemi, ma il Governo ancora non mi fa sapere niente sul Giubileo: né sui fondi né sui poteri».



Ecco, la strategia è questa: pensare alla città. Nel pomeriggio si vedono in sequenza salire le scale della Lupa gli assessori Pucci, Improta e Sabella. Gli uomini forti della giunta che scortano il capo a suon di «lavoriamo», «no, problem», «andiamo avanti». La situazione è surreale. Anche perché sempre verso l'ora del the esce un'agenzia poco chiara: «A breve il sindaco riferirà in Aula». Visto il clima, c'è chi pensa a un commiato. A uno show-down. Arrivano le troupe televisive. «Stiamo qui per le dimissioni di Marino», si fanno annunciare in portineria. Gli uscieri si guardano, verificano e ribadiscono che non c'è alcuna comunicazione all'ordine del giorno. Soprattutto perché oggi non c'è il consiglio comunale. Cortocircuiti. Marino intanto vuole capire il perché di questo «accanimento» da parte del premier. «Ma come io che ho cacciato i mercanti dal tempio vengo trattato così?».



E' solo. E accerchiato. Molti assessori non hanno coraggio di chiedergli cosa stia succedendo. Matteo Orfini, che nei giorni scorsi lo ha blindato, prova a rassicurarlo: «Matteo non ti vuole cacciare, ma solo spronare». Si rincorrono telefonate a Graziano Delrio, uomo forte del governo Renzi e sponda mariniana a Palazzo Chigi. «Ormai è stata aperta una breccia: non so come andrà a finire», confessa Lorenza Bonaccorsi, capo dei turborenziani romani, l'unico pezzo di Pd in auge di questi tempi. Il messaggio però è chiaro. Passano le ore, acquistano e perdono quotazioni le voci di una super-giunta imposta dal Nazareno. «Ingegneria politica che con Sel è molto complicata». Anche perché in questa giornata gli unici veri abbracci arrivano dalla sinistra (da Stefano Fassina a Giuliano Pisapia).