Fassina apre a M5S Sel e grillini lo gelano. Renzi: Fallita la spallata

Fassina apre a M5S Sel e grillini lo gelano. Renzi: Fallita la spallata
di Nino Bertoloni Meli
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Sabato 21 Novembre 2015, 10:05 - Ultimo aggiornamento: 10 Novembre, 17:58
ROMA Divisivo, fuorviante, al limite del catastrofico, l'esordio di Sinistra italiana per bocca di Stefano Fassina. «Al ballottaggio, se non ci saremo noi, potremmo appoggiare il candidato M5S», azzarda a sorpresa l'ex pupillo di Bersani nonché ministro del governo Monti. Fassina ha ricevuto la solidarietà del solo Alfredo D'Attorre, compagno di avventura dai dem ai sel; per il resto è stato solo una serie di «parla a titolo personale», «la posizione di Sel non è questa», «ancor prima dei programmi vengono i valori, e con il M5S non ce ne sono molti in comune» (sempre da Sel).

Arriva pure la scomunica dei compagni di ieri, i bersaniani, tramite Roberto Speranza: «Non si può appaltare la rappresentanza della sinistra a Grillo pur di attaccare il Pd»; fino al vero e proprio marameo dei cinquestelle, «noi il voto di Fassina non lo chiediamo e non lo vogliamo, noi corriamo da soli». La sintesi più graffiante è venuta al renziano Andrea Marcucci: «Grande stratega, Fassina: consegna SI al M5S, ne riceve un secco no e divide a 24 ore dalla nascita la Cosa rossa. Un genio». Ma c'è sempre D'Attorre a correre in soccorso, non curante di nulla candida Fassina a sindaco di Roma: «Sarebbe un ottimo candidato, è onesto, conosce i problemi del lavoro e le periferie».

Già, le amministrative. Manca più di mezzo anno, e già i motori si scaldano. Fioccano i candidati. E le polemiche. Con il premier Renzi che dall'Arabia saudita tira un succoso e polemico bilancio dell'attività di governo: «E' fallita la spallata di destra e di sinistra, quella di Salvini che voleva bloccare l'Italia, e quella della sinistra che voleva bloccare le riforme. Ora avanti fino al 2018». A Roma c'è la situazione più caotica, vista la conclusione della giunta Marino (assente giustificato, ma assente, al Quirino, e il cui nome sembra già finito nel dimenticatoio come candidato della sinistra). Nel Pd la minoranza chiede «discussione» (lo fa Speranza), quanto prima si vorrebbe una riunione della direzione ad hoc per impostare il lavoro per il voto nelle grandi città. Il Pd roman laziale ha cominciato a farlo proprio ieri, con una riunione della direzione regionale presieduta dal segretario Melilli, alla quale hanno partecipato parlamentari romani come Morassut e Bonaccorsi, ma alla quale non c'era Matteo Orfini, il commissario.



LA RIUNIONE



«La città è in mano a commissari, sub commissari, candidati commissari, insomma è tutto un commissariamento, abbiamo sentito il bisogno di cominciare a discutere per uscire dallo stallo», confidava Morassut avviandosi dalla Camera al Nazareno, sede del summit. Non solo. Dalla riunione più o meno carbonara è sortita la proposta di creare una commissione sui poteri di Roma capitale, «come primo momento per avviare il dibattito in vista della difficile campagna che ci attende».

Si parla di Roma e spunta il nome di Zingaretti. Da qualche tempo il presidente della Regione è oggetto di sussurri e grida, lo tirano in ballo ora come anti-Renzi, ora come futuro leader della Ditta ove mai questa tornasse a comandare nel Pd, ora come candidato sindaco nella Capitale. «Già, così perdiamo Regione e Comune», la battuta di un deputato romano neanche ostile al presidente. Dunque? A quel che si sa, Renzi non l'ha chiamato né gli ha proposto alcunché, tra Nazareno e Regione si è subito aperta la caccia su chi aveva tirato in ballo chi, con Zingaretti che si è sfogato con i suoi «e che sono, il candidato delle emergenze democratiche? Già nel 2012 mi dissero che in Regione c'era un'emergenza democratica, ora ce n'è un'altra? E quanto deve durare?». Il premier segretario ancora non si è pronunciato. L'unica cosa che si sa è che punta a un candidato «politico», e sotto questa dicitura i nomi son già tanti: Barca, Madia, Morassut, Orfini, Tocci. Ma siamo ai prolegomeni dei prolegomeni.