Legge elettorale, altolà di Letta. Renzi: senza riforma legislatura finita

Enrico Letta
di Sonia Oranges
3 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Gennaio 2014, 08:03 - Ultimo aggiornamento: 15:59

Enrico Letta interviene sul tema caldo della legge elettorale per far sapere che, sulle liste bloccate, non affatto d’accordo: «Credo che i cittadini debbano essere resi più partecipi nella scelta dei candidati», dice a Otto e mezzo su La7, «se in Parlamento c'è un accordo largo, alcuni aspetti della riforma possono essere modificati». Una risposta niente affatto indiretta a Matteo Renzi che poco prima aveva chiarito: «Le modifiche sono possibili in Parlamento se tutti sono d'accordo.

Nessuno può farsi la sua legge elettorale, gli emendamenti vanno condivisi da Fi fino a Ncd».

In attesa che oggi (appena votata la fiducia sul decreto Imu-Bankitalia) la commissione Affari costituzionali torni a lavoro per approvare il testo base della riforma e fissare il termine per gli emendamenti, ieri la sinistra piddina ha stilato l’elenco delle sue richieste, elencate dal bersaniano Alfredo D’Attorre: stop alle liste bloccate (da sostituire con primarie per legge, collegi uninominali o preferenze), innalzamento della la soglia del premio di maggioranza, riduzione dello sbarramento all'8% per le forze non in coalizione, e alternanza di genere in lista. Punti che la minoranza vorrebbe tradurre in altrettanti emendamenti anche se, ha assicurato Gianni Cuperlo, «non ci saranno emendamenti della minoranza, né ci saranno imboscate». E, in serata, Renzi ha confermato la sua linea: modifiche sì, a patto «che si sia tutti d'accordo, se no si ricomincia da capo». Ma attraverso quale procedura?

L’idea che si fa strada nella segreteria democratica è di lasciare libertà ai deputati di presentare emendamenti che, però, dovranno passare al vaglio di un comitato ristretto (che rappresenti sia il partito, sia il gruppo parlamentare) cui toccherà stabilire quali siano le modifiche compatibili con l’Italicum e quali no. Renzi ha insistito anche che le correzioni non siano «una scusa per far saltare tutto il pacchetto, che prevede l'eliminazione del Senato, la riforma del titolo V, principi che non possono essere messi in discussione da forze che hanno lo 0,01», riferendosi all’insistenza dei partiti minori, da Scelta civica a Per l’Italia (ma anche Ncd) all’introduzione delle preferenze invise a Silvio Berlusconi, l’altro perno dell’operazione riforme. I deputati di Ncd ieri sera si sono riuniti con il leader Angelino Alfano, per fare il punto sullo stato dell’arte.

LE MINE DEI PARTITINI

E sulla “querelle” dei collegi plurinominali: dovrebbero essere 118, riferiti a territori con 500mila abitanti, ma non si sa chi li disegnerà. In teoria toccherebbe al Viminale, appannaggio di Alfano, ma i forzisti non si fidano e il relatore Francesco Sisto ha proposto se ne occupi il Parlamento. Renato Schifani ha ribadito anche l’assoluta contrarietà del partito al principio delle liste bloccate. Il terreno su cui procede l’Italicum, dunque, resta pieno di insidie. Compresa quella del voto segreto in aula. «Se faranno fallire la riforma elettorale senza metterci la faccia, non affosseranno la legge elettorale ma legislatura», ha concluso ieri Renzi, auspicando invece un «bello sprint» del governo: «Il governo è Letta, io faccio un altro mestiere».

© RIPRODUZIONE RISERVATA