Jobs act, tensione Boldrini-premier. Alfano esulta: «Nuovo patto di governo, con Renzi fino al 2018»

Jobs act, tensione Boldrini-premier. Alfano esulta: «Nuovo patto di governo, con Renzi fino al 2018»
di Diodato Pirone
4 Minuti di Lettura
Domenica 22 Febbraio 2015, 09:09 - Ultimo aggiornamento: 15:18

ROMA - Il varo del Jobs Act anche per i licenziamenti collettivi nonostante il parere (consultivo) opposto delle commissioni Lavoro di Camera e Senato ha scatenato una dura polemica fra la presidente della Camera e il premier Renzi e ha riacceso la guerriglia interna al Pd.

«Renzi ha già gettato alle ortiche il ”metodo Mattarella” e ha deciso di non considerare essenziale l'unità del Pd. E' una scelta politica sbagliata». E' molto chiaro Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera, ed esponente della sinistra Pd raggiunto al telefono dal Messaggero. «Non sono irritato per la decisione del governo - aggiunge Damiano - Ma do un giudizio politico negativo: così non funziona. Renzi ha dimostrato di non saper ascoltare. L'unità del partito è un dato centrale e sarebbe bene che qualcuno chiedesse a Renzi di rispondere a questa domanda: cosa succederà nei prossimi passaggi parlamentari sulle riforme?».

Domanda retorica.

La guerriglia ora potrebbe sfociare - si vedrà presto - in qualche clamoroso episodio di ”protesta” dei deputati della sinistra Pd sulle votazioni relative alla riforma costituzionale.

LA PROPOSTA

Fatto sta che ieri Stefano Fassina, deputato molto vicino alla Cgil, parlando alla assemblea nazionale della corrente Sinistradem ha proposto una sorta di coordinamento parlamentare «fra persone di provenienza diversa, fra tutti coloro che hanno voluto misurarsi su quello che sta succedendo» che lascia presagire una specie di possibile patto di unità d'azione fra le minoranze anti-Renzi.

Difficile dire se si arriverà a tanto. Ma ieri l'assemblea nazionale di Sinistradem ha registrato toni durissimi sulle decisioni di Renzi sul Jobs Act condite anche dall'irritazione per le battute del premier pro-Marchionne (uno che ha cominciato da solo a rivoluzionare le regole del lavoro nel 2010 con il contratto di Pomigliano). «Non riuscirei mai a dire che sono gasatissimo per i progetti di Marchionne», ha detto ieri Gianni Cuperlo. Che però ha tenuto a ribadire di non voler rappresentare «gli hooligan anti riforme perché noi conosciamo bene il ruolo dell'impresa così come conosciamo bene anche quello della dignità del lavoro».

LA DOMANDA

Già, ma la sinistra Pd voterà le riforme in arrivo alla Camera? Cuperlo ha ribadito che «la sinistra Pd punterà a cambiare l'Italiacum e se il patto del Nazareno non esiste più tutto è possibile». Non tutte le minoranze la pensano così e il ministro Orlando, sempre all'assemblea Sinistradem, ieri ha ribadito il proprio appoggio al segretario.

Ma la decisione di Renzi di ignorare i pareri delle commissioni parlamentari sul Jobs Act ha aperto anche un secondo fronte polemico, non meno importante, con la presidente della Camera, Laura Boldrini. «Ci sono stati anche dei pareri di Camera e Senato e forse sarebbe stato opportuno tenerli nel dovuto conto», ha detto ieri Boldrini ad Ancona, dov'era in visita. Più tardi la presidente della Camera ha rincarato così la dose parlando ad una iniziativa di un'associazione: «Credo nei ruoli intermedi, associazioni, sindacati. Dunque, l'idea di avere un uomo solo al potere, contro tutti e in barba a tutto a me non piace, non mi piace».

Un ”uno-due” da ring da pugilato che ha irritato moltissimo Palazzo Chigi. Irritazione di cui si è fatta interprete la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani. «Spiace che la Presidente della Camera che ricopre un ruolo terzo, di garanzia, si pronunci in questo modo sulle riforme portate avanti dal governo, sapendo bene che il parere delle Commissioni non è vincolante - ha detto Serracchiani - Quanto all'uomo solo al comando, ricordo che il Pd è una squadra di donne e di uomini, che portano avanti un lavoro di gruppo, uno sforzo comune, un'idea di futuro insieme».

© RIPRODUZIONE RISERVATA