Obama caccia Putin dai vertici del G8 e offre agli europei il gas degli Usa

I leader del G7 riuniti all'Aja
di Marco Conti
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Martedì 25 Marzo 2014, 11:20 - Ultimo aggiornamento: 11:21
Il paradosso di un summit chiamato a misurare gli sforzi per rafforzare la sicurezza nucleare nel mondo, si consuma alle sette di sera.



Quando Barack Obama chiama a raccolta il G7 per sancire l’esclusione della Russia dal G8. Formalmente non si tratta di una cacciata della Russia, ma nell’impegno preso da Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Francia, Germania, Canada e Italia di sospendere il formato a otto «finché la Russia non cambia rotta e le condizioni non tornano al punto in cui il G8 è in grado di avere una discussione significativa».



La pressione di Washington La riunione dura un’ora e mezza e Obama siede nel tavolo tondo tra Cameron e la Merkel. La pressione di Washington sull’Europa è aumentata negli ultimi giorni e ieri sera i Sette producono un documento conclusivo molto duro sul comportamento di Mosca anche se la diplomazia continua il suo lavoro. Nel testo si legge una condanna netta dell’annessione di Mosca della Crimea perché «tali comportamenti violano i principi base che costituiscono il sistema internazionale». I Sette si dicono anche pronti a «intensificare le nostre azioni, ivi incluse sanzioni settoriali coordinate che avranno un impatto sempre più significativo sull’economia russa».



L’annullamento del G8 previsto a luglio a Sochi è quindi da ieri ufficiale. La riunione verrà sostituita da un incontro a Bruxelles nel formato a sette. Una scelta, quella della capitale (di fatto) dell’Unione europea, meno urticante di Londra, città proposta dal primo ministro inglese David Cameron che, sin dal primo giorno della crisi ucraina, ha criticato pesantemente il comportamento di Mosca. L’orologio della diplomazia torna al 1998, quando la Russia di Eltsin e Gorbaciov partecipava da invitata. Un passo indietro che comunque non toglie a Mosca il palcoscenico del G20, format che il ministro degli Esteri Lavrov dice subito di preferire, ovviamente.



Fatto sta che il vertice sulla Sicurezza Nucleare che oggi si concluderà a L’Aja, e che ha raccolto oltre cinquanta capi di stato e di governo, ha vissuto ieri una giornata schizofrenica. Prima la riunione plenaria intorno a un gigantesco tavolo tondo (durante la quale i leader hanno dovuto anche dire per iscritto cosa farebbero a seguito di un attentato) e poi il summit ristretto per prendere provvedimenti contro uno dei paesi con i quali poco prima i Sette sedevano intorno allo stesso tavolo. Il ministro degli Esteri russo Lavrov, mandato a L’Aja da Putin al suo posto, si è consolato ringraziando i paesi del Brics (Brasile, India, Cina e Sudafrica) «per la comprensione», sottolineando la contraddizione che si apre in molti appuntamenti internazionali che sinora hanno incluso Mosca.



Alleati compatti Resta comunque il fatto che da ieri Mosca deve fare i conti con la compattezza che a L’Aja hanno mostrato di avere le due sponde atlantiche. La promessa dell’amministrazione americana di offire il proprio gas e il proprio petrolio in modo da diminuire le importazioni di gas russo, ha contribuito a rimuovere le residue resistenze. Non c’è dubbio che per un’economia quale quella russa, totalmente o quasi dipendente dall’esportazione di gas, anche una riduzione di pochi numeri percentuali dell’esportazione verso i paesi europei, rappresenterebbe un problema serio che si unisce alle difficoltà che gli imprenditori russi cominciano a trovare fuori confine.



Ad aiutare Washington anche la posizione di Pechino. Ieri Obama ha incontrato il leader cinese Xi Jinping. Pechino non ha aderito alle sanzioni, ma non ha fatto mistero della sua contrarietà all’azione di Mosca. Le difficoltà del rublo, della borsa di Mosca e la ridotta attività estera degli oligarchi russi potrebbero spingere il Cremlino a trovare un’intesa con Kiev che gli americani sono pronti a sostenere. Qualunque essa sia. Anche se dovesse ratificare la cessione della Crimea.
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