Libia, quella sponda strategica da normalizzare

di Carlo Jean
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Martedì 21 Luglio 2015, 00:28
Quattro tecnici della società Bonatti di Parma sono stati rapiti domenica notte in un villaggio a ovest del grande impianto dell’Eni di Mellitah a una cinquantina di chilometri a ovest di Tripoli, mentre stavano rientrando in Tunisia. Si erano recati nell’installazione in cui è situata la stazione di pompaggio del gasdotto Greenstream, che fornisce all’Italia, da Mellitah a Gela, circa il 10% del suo fabbisogno di gas naturale (poco più di 7 miliardi di metri cubi all’anno).

Prima della rivoluzione libica ne forniva il 20%. Ma nei primi cinque mesi del 2015, l'importazione di gas dalla Libia è aumentata di ben il 37% rispetto all’analogo periodo del 2014. Il gas libico è strategico per il nostro Paese, che importa quasi il 90% del suo consumo di gas. È essenziale anche per la sicurezza energetica, che è basata sulla differenziazione delle fonti di approvvigionamento, attualmente squilibrate nei confronti della Russia (42% delle importazioni nel 2014) e dell’Algeria (22% ridotte per la minore produzione algerina). La società Bonatti è un colosso dell’ingegneria italiana.

Opera in 16 Paesi, con i suoi oltre 2.000 dipendenti, la maggior parte tecnici di alto livello, specializzati nella costruzione e gestione di impianti petroliferi e gasieri. Generalmente, come l’Eni, la manodopera che impiega è locale, anche per mantenere buoni contatti con la popolazione dei luoghi in cui sono situati gli impianti, a cui fornisce posti di lavoro e anche compensazioni territoriali. Solo i tecnici di più alto livello sono italiani. Senza di essi, gli impianti si fermerebbero e potrebbero subire dei danni. Beninteso, la raccomandazione del governo italiano di far rientrare il personale nazionale dalla Libia, dato il caos esistente nel paese, è tenuta in debita considerazione. Ma la fornitura di gas libico al nostro Paese è troppo importante, perché non vengano fatte eccezioni, pur con tutte le possibili cautele.



Ben poco si sa allo stato attuale dell’identità dei sequestratori e delle motivazioni che li hanno indotti al loro gesto criminale. Sembra da escludere l’ipotesi, inizialmente formulata, che il rapimento sia stato fatto per ritorsione contro la riunione tenutasi lunedì a Bruxelles, nella quale i Ministri degli esteri dell’Ue hanno discusso su possibili sanzioni mirate contro gli esponenti politici e le milizie libiche che si oppongono al piano di riconciliazione nazionale, concordato dal rappresentante dell’Onu in Libia, Bernardino Léon. Tale tesi è stata accennata, senza precisazioni, da un funzionario dell’Ambasciata libica presso la Santa Sede. Appare poco verosimile, data la posizione di estrema cautela e di non interferenza della nostra diplomazia in tale difficile negoziato.



Restano altre tre ipotesi. Primo, il rapimento, come ha dichiarato la Tv qatarina al-Jazeera, sarebbe stato effettuato dal Jeish al Qabail, gruppo di milizie tribali ostili all’Operazione Alba Libica (appoggiata dal governo di Doha, oltre a quello di Ankara), che fa capo al governo di Tripoli. La sua motivazione potrebbe essere quella di ottenere maggiori finanziamenti dalla Compagnia Nazionale del Petrolio, comproprietaria con l’Eni degli impianti di Mellitah. Una seconda possibilità è che il rapimento sia stato effettuato da qualche “cane sciolto”, che tende a ricevere un riscatto, come è avvenuto in precedenti occasioni. In tal caso, come nel primo, esiste un'elevata probabilità che i nostri connazionali verranno liberati. Essa è elevata anche perché l’Eni e, in generale, l’Italia hanno una buona fama in Libia e hanno rapporti con moltissime realtà della nostra “ex-quarta sponda”.



Esiste, però, una terza possibilità più preoccupante, anche se a parer mio, è meno probabile. Quella che i nostri tecnici siano stati rapiti da elementi dell’Isis. Perduta, a opera di milizie al-qaediste, la loro roccaforte di Derna, nell’Est della Cirenaica, le milizie che hanno giurato fedeltà al Califfato, hanno subito una perdita d’immagine, per loro disastrosa. La conquista di Sirte non l’ha compensata. L’aurea d’invincibilità è stata compromessa. Rischiano di non attirare nuovi reclutamenti. Il Califfo non dà soldi. Sembra essere anche lui in difficoltà. I bombardamenti Usa hanno ridotto a un terzo i profitti del contrabbando del petrolio siriano e iracheno. L’Isis, di cui erano state segnalate infiltrazioni a Tripoli e a Sabrata (nella cui provincia è situata Mellitah) potrebbe essere l’autore di tale atto criminale. Con i miliziani fedeli al Califfato le trattative potrebbero essere più difficili.



Si tratta di un nuovo episodio che sottolinea l’importanza che la Libia ha per l’Italia e l’impossibilità per noi di lasciarla in preda all’attuale caos, ragione anche delle ondate immigratorie che tanta preoccupazione destano nel nostro Paese. Certamente, i nostri Servizi sono all’opera. Ma, come sempre in tali casi, occorre che la “testa” prevalga sulla “pancia”. L’emotività o polemiche del tipo che l’Eni, pur di fare profitti, non si cura della sicurezza dei suoi dipendenti, vanno contenute. Renderebbero più difficile ogni trattativa e la liberazione dei nostri connazionali. È un auspicio che ritengo però d’improbabile realizzazione, dato il “clima” prevalente nel Paese.