L’Europa fermi l’inaccettabile blitz tedesco

di Romano Prodi
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Sabato 8 Agosto 2015, 23:36 - Ultimo aggiornamento: 9 Agosto, 00:23
Se si fossero analizzate con freddezza le forze in gioco non sarebbe stato difficile prevedere come si sarebbe snodato il caso greco. La maggioranza dell’opinione pubblica tedesca (intorno al 70%) appoggiava la tesi del ministro delle finanze Schaeuble di cacciare fuori la Grecia dall’euro ma questa decisione sarebbe stata troppo dirompente e, soprattutto, era avversata dal presidente americano e dagli altri grandi leader mondiali, timorosi di un contagio nei confronti dell’intero sistema finanziario mondiale.

Un compromesso era perciò inevitabile, come era inevitabile che sarebbe stato un cattivo compromesso perché nato in un’atmosfera di risentimenti, di egoismi e di paure. Si è evitato il peggio ma si sono posti i semi di altre tensioni. Nessuno poteva tuttavia prevedere che il brutto futuro sarebbe cominciato ancora prima della fine dello stesso mese di luglio, con una pesante ed inaspettata dichiarazione di Schaeuble sulla necessità di ridimensionare i poteri della Commissione Europea, trasferendo le più delicate decisioni di politica economica nelle mani di un’autorità tecnica fornita di pieni poteri e, ovviamente, controllata da Berlino.

Schaeuble è il potente e competente ministro delle Finanze tedesco. Le sue dichiarazioni vanno interpretate come posizione ufficiale del governo di Berlino. Il messaggio è chiaro e le pur timide dichiarazioni da parte del presidente Juncker (non certo sospetto di essere antitedesco) lo confermano.

Le dichiarazioni di Juncker di riprendere in mano i poteri che il trattato attribuisce alla Commissione non sono accettate da una Germania che ha cambiato la propria strategia insieme alla crescita della propria forza. Per questo motivo, come ex-presidente della Commissione Europea, sento il dovere politico e morale di oppormi a queste inaccettabili affermazioni del ministro delle Finanze tedesco.



La mia prima obiezione è di carattere giuridico, perché questa proposta è in aperta violazione dell'articolo 17 del Trattato dell’Unione Europea che definisce i poteri della Commissione e che li garantisce stabilendo che «i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun Paese». In questo senso le dichiarazioni di Schaeuble suonano come un tentativo di condizionamento preventivo della Commissione, che è l'architrave della costruzione europea.

Non possiamo però limitarci a sollevare un problema giuridico perché ci troviamo di fronte a una svolta politica. Lo ha messo in rilievo con drammatica efficacia l'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher scrivendo che la Germania sta ormai trasformando l'Eurozona nella propria sfera di influenza, che la vecchia politica di solidarietà europea viene ormai considerata «inguaribilmente euroromantica» e che, come conseguenza dei suoi successi, l’obiettivo di un’Europa germanica sta ormai prevalendo sulla tradizionale aspirazione di una Germania europea.



Di fronte alle prese di posizione di Schaeuble bisogna riconoscere che, se non si reagisce con fermezza, l'Eurozona arriverà presto al punto di rottura. Mi sarei perciò aspettato da parte degli altri Paesi europei una maggiore consapevolezza nei confronti delle conseguenze di questa nuova politica tedesca. Abbiamo letto seri e motivati segni di preoccupazione in una dichiarazione, finalmente congiunta, dei responsabili francese ed italiano della politica europea (Harlem Desir e Sandro Gozi ) ma non si è ancora creato un allarme sufficiente a provocare una adeguata reazione di fronte a questo drammatico rovesciamento dei principi e delle politiche che hanno sempre guidato e costruito l'Unione Europea. Non si possono smantellare i pilastri fondamentali della politica comune con decisioni che, fatalmente conducono alla dissoluzione dell’Unione.



In questo contesto, mentre non riesco a spiegarmi la latitanza dei grandi partiti europei, diventa sempre più necessaria e urgente la convocazione di una riunione straordinaria dei leader dei governi, delle istituzioni e dei grandi partiti europei, che discuta finalmente in modo aperto e approfondito sui futuri destini dell’Europa. Non di limitati aspetti tecnici o di interventi di emergenza ma delle ragioni, delle convenienze e degli ostacoli che abbiamo di fronte. Un vertice che parli finalmente di politica. È un'esigenza che non possiamo più rinviare perché la caduta di prestigio, di potere e di benessere dell’Europa rispetto al resto del mondo è troppo grave. Proseguendo nella strada battuta negli ultimi anni siamo destinati all’irrilevanza. Bisogna che emergano con chiarezza le scelte che intende portare avanti la Germania e le posizioni che intendono prendere gli altri paesi, cominciando dalla Francia e dall'Italia.



Bisogna che venga chiarito se la Germania vuole affrontare la sfida della globalizzazione da sola (magari appoggiandosi su alcuni Paesi satelliti) o se invece intende proseguire nella politica che pure le ha permesso di conquistare l'unità nazionale e di raggiungere una sempre più forte posizione economica.

E bisogna che questo vertice politico sia accompagnato da un parallelo dibattito parlamentare e popolare: non si può permettere che la più innovativa istituzione mondiale degli ultimi cento anni finisca vittima di un populismo alimentato da un crescente senso di lontananza, di impotenza e di mancanza di solidarietà. La presente paralisi non può durare a lungo: non possiamo permetterci il lusso di aspettare il referendum britannico o i prossimi risultati elettorali di ciascuno dei 28 paesi dell'Unione. Il chiarimento deve essere iniziato ora. Soltanto una richiesta congiunta di Francia e Italia lo può mettere in agenda con la necessaria urgenza.



Deve essere comunque messo in chiaro in via preliminare che a nessuno Stato può essere richiesto di accettare – sulla base dei patti fondanti dell'integrazione europea- trasferimenti di sovranità se non a istituzioni sovranazionali che votano a maggioranza e sono controllate dal Parlamento Europeo. Nonostante tutto viviamo ancora in un'Europa democratica.