Un compromesso era perciò inevitabile, come era inevitabile che sarebbe stato un cattivo compromesso perché nato in un’atmosfera di risentimenti, di egoismi e di paure. Si è evitato il peggio ma si sono posti i semi di altre tensioni. Nessuno poteva tuttavia prevedere che il brutto futuro sarebbe cominciato ancora prima della fine dello stesso mese di luglio, con una pesante ed inaspettata dichiarazione di Schaeuble sulla necessità di ridimensionare i poteri della Commissione Europea, trasferendo le più delicate decisioni di politica economica nelle mani di un’autorità tecnica fornita di pieni poteri e, ovviamente, controllata da Berlino.
Schaeuble è il potente e competente ministro delle Finanze tedesco. Le sue dichiarazioni vanno interpretate come posizione ufficiale del governo di Berlino. Il messaggio è chiaro e le pur timide dichiarazioni da parte del presidente Juncker (non certo sospetto di essere antitedesco) lo confermano.
Le dichiarazioni di Juncker di riprendere in mano i poteri che il trattato attribuisce alla Commissione non sono accettate da una Germania che ha cambiato la propria strategia insieme alla crescita della propria forza. Per questo motivo, come ex-presidente della Commissione Europea, sento il dovere politico e morale di oppormi a queste inaccettabili affermazioni del ministro delle Finanze tedesco.
La mia prima obiezione è di carattere
Non possiamo però limitarci a sollevare un problema giuridico perché ci troviamo di fronte a una svolta politica. Lo ha messo in rilievo con drammatica efficacia l'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fisher scrivendo che la Germania sta ormai trasformando l'Eurozona nella propria sfera di influenza, che la vecchia politica di solidarietà europea viene ormai considerata «inguaribilmente euroromantica» e che, come conseguenza dei suoi successi, l’obiettivo di un’Europa germanica sta ormai prevalendo sulla tradizionale aspirazione di una Germania europea.
Di fronte alle prese di posizione di Schaeuble bisogna riconoscere che, se non si reagisce con fermezza, l'Eurozona arriverà presto al punto di rottura.
In questo contesto, mentre non riesco a spiegarmi la latitanza dei grandi partiti europei, diventa sempre più necessaria e urgente la convocazione di una riunione straordinaria dei leader dei governi, delle istituzioni e dei grandi partiti europei, che discuta finalmente in modo aperto e approfondito sui futuri destini dell’Europa. Non di limitati aspetti tecnici o di interventi di emergenza ma delle ragioni, delle convenienze e degli ostacoli che abbiamo di fronte. Un vertice che parli finalmente di politica. È un'esigenza che non possiamo più rinviare perché la caduta di prestigio, di potere e di benessere dell’Europa rispetto al resto del mondo è troppo grave. Proseguendo nella strada battuta negli ultimi anni siamo destinati all’irrilevanza. Bisogna che emergano con chiarezza le scelte che intende portare avanti la Germania e le posizioni che intendono prendere gli altri paesi, cominciando dalla Francia e dall'Italia.
E bisogna che questo vertice politico sia accompagnato da un parallelo dibattito parlamentare e popolare: non si può permettere che la più innovativa istituzione mondiale degli ultimi cento anni finisca vittima di un populismo alimentato da un crescente senso di lontananza, di impotenza e di mancanza di solidarietà. La presente paralisi non può durare a lungo: non possiamo permetterci il lusso di aspettare il referendum britannico o i prossimi risultati elettorali di ciascuno dei 28 paesi dell'Unione. Il chiarimento deve essere iniziato ora. Soltanto una richiesta congiunta di Francia e Italia lo può mettere in agenda con la necessaria urgenza.
Deve essere comunque messo in chiaro in via preliminare che a nessuno Stato può essere richiesto di accettare – sulla base dei patti fondanti dell'integrazione europea- trasferimenti di sovranità se non a istituzioni sovranazionali che votano a maggioranza e sono controllate dal Parlamento Europeo. Nonostante tutto viviamo ancora in un'Europa democratica.
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