Asilo politico, una casa, ma soprattutto il sussidio sociale pagato dalla provincia di Bolzano. Abdul Rahman Nauroz, considerato un reclutatore della cellula italiana, odiava il nostro Paese, tanto da pensare più volte di andarsene. Però il monolocale a Merano, dove faceva proselitismo e inneggiava alla jihad, era «pagato totalmente dai servizi sociali di quella città». Si registra nell’appartamento - scrivono i carabinieri del Ros - «una nutrita comunità di origine curdo irachena più o meno inserita ma che si rivelerà essere un ottimo bacino per gli obiettivi e le intenzioni future di Nauroz».
I suoi allievi lo ascoltavano e in alcuni casi sceglievano il martirio. Anche se - è evidenziato nell’ordinanza di custodia cautelare - «egli assume da subito un basso profilo sociale limitando i propri contatti alla cerchia curdo irachena e a quella che ruota attorno alla Moschea della vicina Sinigo». Ebbene sì, curdi potenziali attentatori sotto la bandiera nera, a fianco dell’Isis, mentre nel loro paese in tanti hanno imbracciato le armi per contrastare l’espansione del Califfato.
IL MARTIRIO
Eppure nelle intercettazioni registrate in anni di indagini, anche all’interno della casa di Nauroz, sembrano inequivocabili i riscontri del coinvolgimento dell’uomo «in un contesto associativo trasnazionale jihadista in contatto operativo con altre organizzazioni di natura confessionale intenzionate a operare, secondo “linee” ispirate dal mullah Krekar».
GLI EMARGINATI
Il gruppo sostiene finanziariamente i suoi sodali, ma sa che per reclutare quelli più disposti ad azioni suicide deve cercare tra i poveri della terra. È giusto - afferma ancora Krekar - assoldare tra gli emarginati, o anche «come suggerito da al-Turabi accettare di avere gente criminale attorno a sé per usarli come spazzolone per il cesso. Al-Turabi avrebbe detto che i criminali sono persone sporche, come gli spazzoloni per i cessi, ma si possono usare per lavare il water, il che vuol dire usarli per uccidere la gente di cui ci si vuole sbarazzare».