Oggi musulmani in piazza/Un Islam nemico dell’Isis

di Franco Cardini
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Sabato 21 Novembre 2015, 15:36 - Ultimo aggiornamento: 00:32
C’è qualcosa di nuovo, nel mondo occidentale: o, almeno, così si dice (e qualcuno ci crede).

Finalmente, i musulmani si sono mossi. Qualcuno di loro si è deciso a scendere in piazza contro il terrorismo.

Finora si erano avute solo mezze dichiarazioni di condanna, molti distinguo, tanti “se” e tanti “ma”. Ora, scenderanno in piazza inalberando un motto ormai celebre: «Not in my name». Ma fra noi c’è chi esita, chi non si fida. Saranno davvero in buona fede? E sefosse pura tattica? E poi perché solo adesso? Davvero ci voleva una tragedia come quella parigina per muovere certe coscienze? Ancora, quanti saranno? In che percentuale rispetto alla massa di quelli che avrebbero potuto e magari anche dovuto dar testimonianza di sé e che invece hanno preferito stare alla finestra e magari chiudere anche quella?



E poi, che cosa vuol dire che «i musulmani manifesteranno»? Ciascun intervenuto lo farà di proprio conto, di sua iniziativa, o si muoverà a nome della sua comunità e insieme con essa? E, nel secondo caso, la sua sarà una scelta spontanea o fatta al rimorchio di familiari e di amici? E che cosa condanneranno: solo gli eccessi e i crimini dell’Isis o quel tanto di violento e di antioccidentale che sta radicato nelle fondamenta stesse dell’Islam?

Infine, ci sono gli incerti della manifestazione. Siamo sicuri che non ci saranno degli infiltrati, degli agenti provocatori ben decisi a impedirne il successo o a renderne l’esito impossibile a valutarsi? Non sarà quella l’occasione per una resa dei conti tra cosche opposte?



E se la giornata risulterà un buco nell’acqua, se i partecipanti saranno stati pochi e poco motivati, quello non sarà stato un fallimento, un rimedio peggiore del male che scaverà un fossato ancora più profondo tra due società che si sentono “diverse” e “ostili” fra loro, che paleserà come la conciliazione e la convivenza siano impossibili? E se ci saranno disordini, violenze, quanto lunga e profonda sarà la loro scia? Non sarebbe meglio accontentarsi di una coincidenza imperfetta e lacunosa piuttosto che di un’intesa magari generosamente proposta ma rivelatasi poi platealmente impossibile?



Insomma, mettetela come volete, la problematica è vasta e i rischi eccessivi. Verrebbe da riflettere che certa gente non è mai soddisfatta. Se le comunità tacciono, allora sono quanto meno complici dei criminali; se parlano, allora il loro stesso parlare determina una catena infinita di problemi, suscita interrogativi, muove dubbi.



La verità è che finora la vita delle comunità musulmane, che pur stanno tra noi, è stata il più delle volte silenziosa e nascosta: e i nostri media, così pronti a rilevarne attività sospette e magagne o a lamentare di non udir la loro voce in momenti che implicano la condanna di questo o di quell’aspetto, magari poco evidente, dell’Islam, riescono a criticare al tempo stesso la loro scarsa permeabilità e trasparenza e a lamentarsi per la rarefazione e la scarsa incisività di esse. Insomma, come si muovono sbagliano.



Se tacciono o parlano basso, sono colpevoli di ambiguità o di viltà; se formulano giudizi chiari, sono inopportune e invadenti oppure cercano di fuorviarci.

È un po’ come con gli abiti e le abitudini: troppo simili alle nostre, sono sintomo di concorrenza; differenti, di arroganza e di rifiuto d’integrazione. D’altro canto, va pur detto che protestare allineati con stranieri e con gente di altra fede religiosa, contro persone che magari sbagliano, magari compiono misfatti odierni, ma che appartengono al proprio popolo, è difficile.



A volte si rischiano vendette e rappresaglie, qualcuno ha paura di mettersi in mostra attirando l’attenzione di qualche jihadista nascosto, molto spesso - e qui, diciamo la verità, c’è tutto il Mediterraneo - a denunziare un comportamento negativo o criminoso ci si sente pur sempre un po’ spie, un po’ delatori. Possiamo disapprovare tali comportamenti: ma non verrete a dire che essi sono per noi incomprensibili.

Con tutto ciò, l’incanto è ormai rotto. A voler dire le cose come stanno, bisognerebbe osservare che i musulmani protestano da molti mesi, nelle loro comunità e anche al di fuori di esse, contro gli abusi di un falso Islam che ormai appare sempre più invadente anche se i suoi strumenti di lotta non richiedono un contatto assiduo e continuativo.



Per esempio, contro l’Isis e la sua attività criminosa si sono espresse con grande forza la “Lega mondiale delle associazioni musulmane”, l’Università di al-Azhar del Cairo e molte madrasse e associazioni religiose con i loro imam e i loro ulema, che con la massima energia hanno protestato. Da noi, raramente di tali cose abbiamo avuto notizia: e il più delle volte, quando essa è giunta, era accompagnata da dubbi e riserve. Forse le bombe e gli spari del 13 dicembre hanno contribuito a infrangere almeno in parte questa cortina d’ipocrisia e di malafede.