Guardare la Viola capolista e far finta di non vedere nulla

Guardare la Viola capolista e far finta di non vedere nulla
di Stefano Cappellini
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Lunedì 5 Ottobre 2015, 22:37 - Ultimo aggiornamento: 6 Ottobre, 19:24
Ora che la Fiorentina è in cima alla serie A, sola come non accadeva dal febbraio del 1999, noi tifosi viola abbiamo due settimane - il tempo della sosta - per risolvere il dilemma. Decidere, cioè, se per continuare a sognare l’indicibile è più utile ribaltare al San Paolo il Napoli di Sarri, prossima tappa del calendario, o ribaltare la Napoli di De Filippo, risciacquando in Arno il motto eduardiano sulle faccende scaramantiche (”non è vero ma ci credo”) e trasformandolo in un più prudente ”è vero ma non ci credo”. Vero che la Viola è prima, ma meglio non crederci. Per ora.



Sì, c’è il record di punti all’inizio del campionato, un filotto che nemmeno lo squadrone di Bernardini campione nel ’56 mise insieme, e ci sarebbe pure la legge dei grandi numeri, perché il ritardo sulla ruota di Firenze è di 45 anni, quando trionfò la Fiorentina di Pesaola, e però siamo pur sempre ai primi di ottobre e alla numerologia è meglio non affidarsi troppo, almeno per non ripetere l’errore di Picchio De Sisti, allenatore della Fiorentina 1981-82, il quale si era lasciato convincere che il destino della Viola fosse di vincere un titolo ogni 13 anni: 1956, 1969 e, appunto, 1982. Ne ebbe tanto di tempo, il buon Picchio, per illudersi che la previsione fosse un teorema blindato, dato che la sua squadra con Antognoni, Pecci e Bertoni rimase in testa fino alla penultima giornata. Poi, all’ultima a Cagliari, annullarono un gol regolarissimo a Ciccio Graziani, la partita finì 0-0 e lo scudetto finì a Torino, sponda Juve.



Meglio non crederci, per ora, anche se siamo in autunno e non c’è il rischio che uno dei calciatori abbandoni il ritiro per volare al Carnevale di Rio, come proprio in quel febbraio ’99 fece il brasiliano Edmundo, che il diritto sindacale alla samba l’aveva concordato all’inizio della stagione con il presidente Vittorio Cecchi Gori, né decise di rinunciare alla trasferta solo perché si era infortunato Batistuta. A Udine, la domenica successiva, non c’erano attaccanti titolari, giocò Esposito e, come dire, non fu la stessa cosa. Alla sera, la Fiorentina non era più prima. In compenso, le foto di un Edmundo scatenato sui carri trovarono posto su tutti i quotidiani sportivi. È vero ma non ci credo, dunque, perché troppe volte si è creduto invano, e dal dopoguerra non c’è generazione che non abbia almeno un paio di brutte cicatrici nei ricordi, e i più anziani, dalla finale di Coppa dei campioni persa nel 1957 con il Real Madrid fino a oggi, ne hanno tante che nemmeno Rambo e sarà per questo che, visione dopo visione, gli amanti della Viola contribuiscono allo share del film contro il talk di turno, per la felicità del tifosissimo presidente del Consiglio (un altro che, giustamente, diffida dall’utilizzo della parola che inizia per sc e finisce per to).



È vero ma non ci credo, ripetiamolo in coro, in fondo il mantra ha funzionato anche al contrario, nei momenti peggiori, tipo quel pomeriggio d’autunno del 2002 in cui il Montevarchi se ne andò da Firenze con tre punti. E non ci potevamo credere, a quel risultato, o che per tornare in alto bisognasse prima spezzare le reni al Poggibonsi, che peraltro uscì dal match con la schiena sanissima, e anche far visita al Gualdo Tadino. ”Gualdo ma non ti vedo”, fu lo striscione con cui i tifosi viola si presentarono in Umbria e potrebbe essere oggi un’ottima variazione sul tema. Guardare in alto e far finta di non vedere nulla.