Riscoperta dei romanzi ecclesiastici: è grande letteratura della crisi

Riscoperta dei romanzi ecclesiastici: è grande letteratura della crisi
di Luca Ricci
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Sabato 7 Dicembre 2013, 11:04 - Ultimo aggiornamento: 11:08
Sono anni che, per un motivo o per l’altro, la Chiesa cattolica tornata a far discutere. La saggistica di argomento religioso ha imperversato, basti pensare in ordine sparso ai libri di Piergiorgio Odifreddi o Michela Murgia o Corrado Augias in coppia con Vito Mancuso (il tandem rappresenta lo scontro dialettico per eccellenza: atei versus credenti). Ma forse, per riuscire a indagare davvero il prisma della Chiesa cattolica bisognerebbe affidarsi a uno strumento meno manicheo e più flessibile di uno studio critico. Forse è giunto il momento di riscoprire un filone appartato della nostra letteratura, quello a sfondo religioso. Se il testo più emblematico del pathos metafisico resta quel Diario di un curato di campagna scritto nel 1936 dal francese George Bernanos (il cui controcanto luciferino può essere facilmente rintracciato nella satira de I sotterranei del Vaticano di André Gide), è pur vero che la fede, persa o trovata, è da sempre stata affar nostro. Inutile sottolineare i debiti della letteratura italiana nei confronti del cattolicesimo: Francesco d’Assisi praticamente l’ha fondata. E che dire dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, testo scolastico per antonomasia il cui personaggio più importante si chiama Divina Provvidenza? Nel novecento, con la progressiva affermazione del romanzo borghese e la relativa laicizzazione degli scrittori, il discorso si è fatto più complesso. Tanto più che a minare le certezze religiose c’è stato il buco nero del nazi-fascismo: come ha potuto Dio permettere Auschwitz?



Silvio D’Arzo (pseudonimo di Ezio Comparoni) in Casa d’altri del 1953 mette in scena un prete arroccato sull’appennino- luogo insieme reale e simbolico- che non sa più badare alle anime del suo paese. Pastore che ha smarrito il gregge, questo prete che si autodefinisce “da sagra” è il ritratto del senso di spaesamento e d’inadeguatezza che affligge il clero in un’epoca che all’anima preferisce l’inconscio, e alle confessioni le sedute di psicoanalisi. E quando d’innanzi a lui si parerà Zelinda, una vecchia che chiede solo di morire, non riuscirà a offrirle conforto né speranza.



Goffredo Parise ne Il prete bello del 1954 sceglie un tono brioso e grottesco per raccontare di un caseggiato nella Vicenza agli sgoccioli del ventennio fascista, e il suo Don Gastone più che un prete sembra quasi uno stregone circondato da un caledeoscopio di personaggi che pendono dalle sue labbra: un'altra maniera per parlare della perdita di centralità della chiesa. In uno scoppio vitalistico, Don Gastone invece di assolvere alle sue funzioni sacerdotali non fa altro che assecondare la sua vanità, diventando uno strepitoso seduttore (e quindi un tentatore).



Giovanni Arpino ne La suora Giovane del 1959 opta per un racconto sommesso, fatto di petits riens, quegli accadimenti da niente prediletti dai crepuscolari. Siamo in una Torino in cui all’entusiamo del boom economico si è già sostituita una malinconia strisciante, che avvolge le cose e le anime al pari della nebbia. L’io narrante, un ragioniere quarantenne celibe, incontra sul tram Serena, una giovane suora che per evadere dal convento ha scelto di assistere a domicilio i malati. L’amore tra i due (pudicamente ellittico e sottointeso), non farà che rinvigorire la reciproca alienazione a un mondo che tutto digerisce e tutto livella verso il basso: la città come la campagna, i moti del cuore come i rovelli teologici.



Sono solo tre esempi di un arcipelago di opere pubblicate quasi sotto traccia- doveroso almeno segnalare Roma senza papa di Guido Morselli, Il Conclave di Fabrizio Battistelli, Sorella di Marco Lodoli. In un’epoca di Angeli e Demoni fittizi (o se preferite fictional), in cui l’elemento religioso è soltanto un tratto pittoresco della narrazione, si possono ancora trovare dei testi irriducibili ai facili stereotipi da cattolico bigotto e da ateo mangiapreti: la grande letteratura è sempre della crisi, o non è.

Twitter: @LuRicci74
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