Caso Palamara, intercettazioni “riciclate” per punire i magistrati: la Cassazione dà via libera

Sotto il pm Luca Palamara, ex presidente dell’Anm, al centro dell’inchiesta sul Csm
di Francesco Malfetano
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Giovedì 16 Maggio 2024, 07:23

A voler fare una sintesi estrema la notizia sarebbe questa: è legittimo l’uso di un trojan per avallare le sanzioni disciplinari dei magistrati. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione rigettando il ricorso di 5 ex togati del Csm. E già qui ci sarebbero gli estremi per un salto sulla sedia.

A volerla guardare in prospettiva però, le cose sono molto più complesse. Questa sentenza - che per di più espone l’Italia ad una possibile procedura d’infrazione europea - è infatti l’ennesimo strascico della notte romana che cinque anni fa terremotò la giustizia italiana. Quella dell’Hotel Champagne dove, al netto dei tantissimi punti mai chiariti, alcuni magistrati e politici avrebbero ordito delle trame per mettere le mani sulla procura di Roma e nominare un magistrato a loro affine.

LA NOTTE
Una sorta di massoneria togata che, stando alla narrazione che ne è stata fatta, era capeggiata dall’intanto ex magistrato Luca Palamara, dall’ex ministro Luca Lotti e dall’ex deputato Cosimo Maria Ferri. Una congiura a tutti gli effetti, a cui il 9 maggio del 2019 non hanno però solo assistito i 5 giudici oggetto dell’intervento delle sezioni unite civili degli ermellini, ma anche gli uomini del Gico. E cioè del corpo speciale della Guardia di Finanza che “inciampò” in quella conversazione mentre era impegnato ad intercettare con un trojan Palamara, all’epoca accusato di corruzione dalla Procura di Perugia. Reato, e non è un dettaglio, per cui l’ex giudice non è però mai stato condannato (patteggiò per traffico di influenze) rendendo quelle intercettazioni non solo tratte da un procedimento non connesso ma, de facto, anche titoli di un crimine inesistente. Per di più con il tutto poi diventato di pubblico dominio attraverso una fuga di notizie - ancora senza colpevole - che diede il là all’intero caso.

LE SANZIONI
Ed eccoci - tralasciando colpevolmente i punti oscuri come la nomina a procuratore di Milano del presunto beneficiario della congiura o il perché quello stesso virus informatico inoculato sul telefono di Palamara non abbia funzionato durante altri incontri - ad oggi.

All’ultima punizione concepita dal Csm per ripristinare l’onore della magistratura. E cioè, appunto, al respingimento del ricorso per le sanzioni disciplinari comminate agli ex togati. Pur non essendo accusati di alcun reato Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Pierluigi Morlini e Luigi Spina, dovranno scontare la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio per «grave scorrettezza» verso i colleghi, per un periodo compreso tra un anno e 6 mesi ed un anno e 9 mesi a seconda del teste, comminatagli ormai tre anni fa.

Il salto logico non è immediato ma la sentenza la Cassazione basata su un «orientamento consolidato» legittima l’utilizzo di captazioni disposte per procedimenti penali come prova all’interno di processi disciplinari per vicende disconnesse da quella originaria. Vale a dire, l’esatta fattispecie per cui la Corte europea per i diritti dell'uomo non ne ammette l’utilizzabilità. E quindi, appunto, esponendo l’Italia ad una procedura d’infrazione da parte della Corte Ue per averne contraddetto i principi.

GLI SVILUPPI
Ma questa è solo l’ultima contorsione di un vicenda che dopo aver coinvolto l’intera magistratura italiana - senza peraltro fare piena luce - ha finito con l’avviluppare anche Cassazione e Corte costituzionale. Inevitabile infatti, che il pensiero corra alle frasi dell'ex giudice della Corte costituzionale Nicolò Zanon che a dicembre scorso ha rivelato come la sentenza sull'uso delle intercettazioni contro Cosimo Maria Ferri (all’epoca deputato del Partito democratico e quindi soggetto all’articolo 68 della Costituzione) fu pronunciata «rovesciando la Costituzione», per non sconfessare la Cassazione e il Csm, che già avevano punito i protagonisti della famosa serata all’Hotel Champagne.

Impossibile provarlo. Impossibile provare che vi sia una qualche relazione con la sentenza più recente. Impossibile però anche immaginare che la vicenda possa realmente concludersi in questo modo.

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