Che tipo di sfida è stata ”Ritratto di un amore”?
«Mi ha permesso di incarnare dalla giovinezza alla morte una donna complessa ed enigmatica, quasi minacciosa per un’attrice. Marthe considera le altre come rivali, vuole emanciparsi socialmente e mente sulle sue origini finendo soffocata dalle sue stesse bugie. Mi sono ritrovata nel suo legame con la natura e sono stata felice di lavorare con Provost, un regista che punta sui personaggi femminili».
Bisogna tornare al passato per ritrovare passioni eterne?
«La visione della coppia è molto cambiata nel tempo e, data l’attuale confusione, forse finiremo per tornare agli amori indissolubili di una volta. Come quello tra Pierre e Marthe che ha dato vita a tanti capolavori dell’arte: i quadri sono i figli che i due non ebbero mai. Senza di lei lui non sarebbe diventato il grande pittore che conosciamo».
Come mai nel cinema francese recente abbondano i film in costume?
«Perché vanno benissimo in sala. Mettono in luce il patrimonio culturale della Francia, talmente ricco da offrire una miniera di storie. Il pubblico ha il desiderio di riscoprire i suoi tesori, o la curiosità di scoprirli: Marthe è un personaggio pochissimo conosciuto».
È più facile oggi per un’attrice imbattersi in personaggi anticonvenzionali, stimolanti?
«Senza alcun dubbio. Mi considero fortunata perché mi offrono sempre dei ruoli complessi, sfaccettati. E posso scegliere. Sul set devo essere felice, il tempo delle riprese di un film coincide con la vita».
Che ricordo ha di Sorrentino che nelle due serie sul Papa le aveva affidato il ruolo di capo-marketing del Vaticano?
«Lavorare con lui è stata un’esperienza spettacolare. E’ un regista audace e geniale, barocco e rock al tempo stesso. Ha un’idea ogni due minuti e io ho avuto un posto in prima fila per constatarlo».
In ”The New Pope”, il secondo capitolo della saga vaticana, il suo personaggio vira sull’erotismo: ha avuto esitazioni?
«Per cerità, no. A Sorrentino non ho nemmeno domandato il perché di quella svolta. Mi sono affidata a lui e questo è bastato. La genesi delle idee di un regista è sempre misteriosa. Io non m’interrogo, seguo i personaggi».
Passerà anche lei dietro alla cinepresa?
«No, sono felice e soddisfatta di fare l’attrice. Mi considero materiale al servizio delle storie».
Perché scelse di recitare?
«Da ragazza ero partita con l’idea di fare teatro in Belgio. Un’insegnante di recitazione mi spinse poi a trasferirmi a Parigi per tentare con il cinema».
E ha dovuto lottare per affermarsi?
«No, ho avuto molta fortuna. Un agente mi ha scoperta alla scuola di cinema e così è iniziata la mia carriera. Ho lavorato tanto, ma poi ho raccolto i frutti».
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