RIETI - Si cerca e si scava tra le testimonianze per stabilire “cosa” provocò, il 5 dicembre 2018, l’esplosione di una cisterna di carburante all’interno del distributore della Ip, lungo la Salaria, costata la vita a due persone, il vigile del fuoco Stefano Colasanti e un automobilista di passaggio, Andrea Maggi, che si era fermato per assistere a quanto stava accadendo e fu investito da una fiammata. In aula sfilano i vigili del presidio di Poggio Mirteto e del distaccamento di Montelibretti, rendono davanti al presidente Carlo Sabatini e agli avvocati delle parti testimonianze a tratti sofferte, perché alcuni di loro rimasero feriti nell’esplosione e, oltre alle ustioni, conservano di quei momenti un ricordo doloroso.
La testimonianza. Uno, in particolare, intervenuto con un altro collega dopo l’allarme lanciato da Colasanti, ha ripercorso gli istanti precedenti l’incidente: «All’inizio eravamo solo noi e, mentre Stefano premeva l’acceleratore all’interno del mezzo antincendio per far salire la pressione necessaria a far uscire l’acqua, abbiamo effettuato i primi lanci per raffreddare il container di gpl utilizzando la manichetta. Poi, non l’ho più visto, perché evidentemente era sceso dal mezzo (una piccola autobotte Aps che Colasanti aveva portato in officina a Montelibretti per una riparazione ndr) e subito dopo l’arrivo della squadra di Poggio Mirteto c’è stata l’esplosione». Ma dalla testimonianza emerge anche il rammarico per quanto si sarebbe potuto fare di più: «Se fossimo intervenuti in numero superiore, era possibile azionare una pompa più grande che avrebbe garantito una maggiore getto di acqua rispetto alla manichetta, che è un piccolo tubo flessibile, ma ci voleva tempo per montarla e più uomini, noi invece siamo rimasti soli fino a quando non è arrivata la squadra di Poggio Mirteto. A quel punto non c’è stato il tempo di fare altro perché poco dopo la cisterna è esplosa».
La ricostruzione. Ricostruzione che agli avvocati Luca Conti e Francesco Tavani, difensori dei gestori dell’impianto (Paolo Pettirossi e Anna Maria Niro, moglie e marito), imputati di omicidio colposo e disastro colposo insieme all’autista dell’autocisterna, Gianni Casentini, serve per capire se mezzi e uomini presenti sul posto fossero sufficienti a fronteggiare l’incendio.
La consulenza. In questo caso, il pubblico ministero Francia si richiama alla consulenza del perito di ufficio e a quanto riferito da un teste oculare: «Ero al bar del distributore per prendere il caffè e guardando in direzione della pompa di carburante ho visto che era attaccato solo un tubo», affermazione contraddetta da un secondo teste, fratello di Pettirossi, che però quel giorno non era presente: «Impossibile vedere dal bar il punto dove si trovava la cisterna, perché la visuale è coperta dall’impianto di lavaggio delle auto, da un gabbiotto e da una paratia che protegge dagli schizzi». Si continuerà così, a scavare, per trovare risposte alla tragedia, e non è neppure da escludere una nuova perizia ordinata dal tribunale, ma questo si potrà sapere solo dopo le deposizioni dei consulenti delle parti.