Da anni si occupa di danni ambientali e gas altamente pericolosi.
Professor Matteo Guidotti, ricercatore dell’Istituto Scienze e tecnologie chimiche (Cnr-Scitec) di Milano, una tragedia prevedibile?
«Purtroppo questi incidenti sono frequenti tra chi lavora in ambienti confinati, chiusi, nel sottosuolo. Di certo c’è una sottostima del rischio, soprattutto non c’è una distribuzione mirata di semplici sensori d’allarme. Gran parte di questi gas più pesanti dell’atmosfera tendono ad accumularsi nei luoghi bassi, cisterne, cantine, dove non c’è un adeguato ricambio d'aria. Vale un po’ per tutti i gas composti che si producono per una fermentazione di materiale organico in assenza di ossigeno, parlo di reti fognarie, scarti urbani, acque nere».
Dunque un pericolo diffuso?
«Episodi capitano ciclicamente nell’industria alimentare, in alcune aziende olearie.
Come difendersi?
«I vigili del fuoco intervengono con la maschera antigas con il filtro, per entrare in sicurezza usano un autorespiratore. Basterebbe usare dei semplici sensori elettrochimici, rilevatori di allarme gas: costano poche decine di euro. Almeno uno a squadra dovrebbe averlo con sé, appena scatta, scapperebbero tutti fuori. Questi gas si sviluppano in luoghi subdoli, banali, scantinati, zone rurali, uno pensa siano legati al mondo industriale ma non è così. Possono addirittura sprigionarsi in aree cimiteriali e cripte di chiese, parlo di luoghi abbandonati. In un sistema fognario è normale ci sia quel tipo di gas, è fisiologico, non necessariamente si può parlare di scarsa manutenzione. Meglio puntare su una distribuzione mirata di sensori».
Qualche leggerezza deve esserci stata.
«Sarebbe utile sapere se fossero già scesi in quell’impianto, se fosse accessibile normalmente. C’è scarsa informazione e consapevolezza del pericolo».