“Silvio Berlusconi e la città ideale”, il libro e quella frase «Sono un matto fra tanti matti!»

Francesco Giro pubblica il libro

Silvio Berlusconi e la città ideale, il libro e quella frase «Sono un matto fra tanti matti!»
di Mario Ajello
5 Minuti di Lettura
Domenica 12 Maggio 2024, 15:34 - Ultimo aggiornamento: 19:43

Due pazzi creativi, due visionari pragmatici, due grandi comunicatori, due pacifisti: non potevano non andare d’accordo Silvio Berlusconi ed Erasmo da Rotterdam. Il primo ha voluto fare tandem ideale con il secondo, infischiandosi dei tanti secoli di differenza. E non c’è nulla di più erasmiano del grido del Cavaliere quando nel 1994, subito dopo aver fondato Forza Italia, salì per la prima volta su un palco politico, a Roma, e le sue parole furono queste: «Sono un matto fra tanti matti!». Però, l’identificazione berlusconiana con il contenuto, e ora scopriamo anche con l’autore, dell’Elogio della follia al di là della fascinazione giocosa con cui tutti l’hanno guardata non è mai stata indagata profondamente, andando alla radici del pensiero filosofico - una filosofia non esibita e per certi versi anche spontaneistica e naturale più che consapevole ma sempre di filosofia si parla - di Berlusconi. Serviva dunque un saggio analitico e non banalmente politico o peggio politologico o ancora peggio propagandistico sull’ispirazione e sul profilo culturale di Berlusconi. Perché non è vero affatto che i suoi continui riferimenti alla «rivoluzione liberale», alla «religione laica della libertà» e quel suo continuo mix tra umanesimo e futuro fossero slogan senza basi e senza costrutto. Francesco Giro, che è stato un personaggio importantissimo del mondo berlusconiano, da senatore, da consigliere del principe, da sottosegretario ai Beni Culturali e da attento maieuta e interprete dei pensieri del leader e della sua azione, ha voluto tentare - nel libro «Silvio Berlusconi e la città ideale», introduzione di Antonio Tajani, edito da Gangemi, e il leader forzista con altri presenterà il volume mercoledì pomeriggio a Roma - proprio l’operazione tutt’altro che impossibile di scavare nelle origini e negli sviluppi del Cavaliere come soggetto culturale che ha cambiato, anche sulla spinta dei suoi miti umanistici e rinascimentali tra cui Erasmo soprattutto e dei valori liberali estratti dalla tradizione di Gentile e  di Croce, la storia culturale di questo Paese. L’egemonia della sinistra nella cultura, il gramscismo che ha dominato nelle lettere e nelle arti e in tutte le «casematte» del sapere universitario, editoriale e di cultura diffusa, trovarono a un certo punto a tagliare loro la strada la cultura di un «pazzo» che mescolando l’estetica della perfezione del fare le città ispirandosi al concetto di armonia derivato da Leon Battista Alberti, la totale mancanza di schemi pre-costituiti appresa da Erasmo, l’utopia di Tommaso Moro, il realismo politico di Machiavelli, l’idea del «sole in tasca» e della città del sole di Campanella, la centralità del tema della libertà preso da Croce e le nuove teorie sulla comunicazione apprese (o odorate) dalla massmediologia francese degli ultimi decenni del ‘900, ha fatto cadere il muro del pensiero unico o quasi, del progressismo d’origine comunista che si credeva inattaccabile. E  invece, il Cavaliere erasman-crociano lo ha aggredito e abbattuto. Diffondendo  una visione liberale e anche libertaria di tipo popolare che non è stata soltanto il frutto di un grande intuito ma anche di una sedimentazione che nella formazione di Berlusconi era cominciata fin da quando era ragazzo.  Suggestivo e potente insomma il libro di Giro.

Un viaggio alla scoperta del Cavaliere intellettuale, un itinerario di ricerca che spazia tra Pico della Mirandola e Massimo Cacciari, La nuova Atlantide di Francesco Bacone e le pagine di Augusto Del Noce, che intreccia il formidabile spirito umanistico che tanto affascinò Berlusconi, fino a farne editore di classici del ‘400 e ‘500, con l’idealismo novecentesco: e il tutto ha dato forza culturale, aria intellettuale, visione che oltrepassa le singole imprese, alle azioni del Cavaliere come imprenditore e come politico. Occhio: questo di Giro non è un libro encomiastico su Silvio.

Barbara Berlusconi con il figlio Edoardo, la (rara) foto sul red carpet del film Ennio Doris. Social impazziti: «E' identico al nonno»

E’ un testo analitico, e perfino tecnico del tipo: ecco come hanno funzionato i neuroni di un leader e chi li ha storicamente aiutati a muoversi. E dunque troviamo di tutto, anche Husserl, Heidegger, Sartre, in questo caleidoscopio messo su da Giro per capire l’essenza del berlusconismo come fatto dottrinario. In quella mescolanza di marxismo e secolarizzazione, in quel pontificato laico-gramsciano che si era fatto egemonia nel ‘900, Berlusconi irruppe con l’elemento rivoluzionario del sogno, del desiderio, della lucida follia. Spaccò tutto. Sconvolse i ben pensanti e i mono-pensanti. E non fu certo un colpo personale di fortuna: la fortuna è inscindibile dalla virtù, come Machiavelli ha insegnato a tutti noi e il Cavaliere sottolineava riga per riga le opere machiavelliane, oltre a editarle. Incatenato a un contesto culturale solido, come Giro riesce mirabilmente a fare, sparisce il Silvio leggerista caricaturizzato da parte dei nemici, ed emerge il lettore - oltre dei classici - di Cacciari o di Luigi Firpo il sommo studioso di Campanella e degli altri molto ammirato dall’imprenditore che si sarebbe fatto politico. Soprattutto alla renovatio umanistica Berlusconi deve molto. Perciò Erasmo tra i suoi riferimenti spicca su tutti. Erasmo era spiazzante (i protestanti lo consideravano un papista, i papisti un luterano), era nemico delle lungaggini espressive, usava la nuova invenzione della stampa come Silvio (non Enea Silvio Piccolomini, ma Silvio Berlusconi)  avrebbe usato le tivvù, era imprendibile nella forza delle sue idee in continuo movimento, era vivace e carismatico, era dotto ma a suo modo pop, aveva soprattutto la capacità - come scrive Giro nel suo libro colto e brillante esattamente simile all’autore - di «mettere a soqquadro l’ideologia del suo tempo, il potere del clero, l’oscurantismo delle scuole». Sarebbe voluto essere Erasmo il Cav e un po’ è riuscito. E chissà quanto si sarebbe divertito lo scrittore cinquecentesco che polemizzò contro il dogmatismo di Lutero (il frate domenicano era per il Servi arbitrio e il sacerdote “liberale” per il Libero arbitrio, in una famosa polemica tra i due) sentendo il comizio berlusconiano di cui dicevamo, quello di «un matto tra i matti». Ma spesso sono i matti - «quando mi disse che voleva fondare Forza Italia gli dissi che era un matto», parola di Fedele Confalonieri, e così lo considerarono anche Maurizio Costanzo e tanti altri amici e collaboratori - a cambiare la storia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA