Nardella: «Centro Italia motore della crescita. Per il Pd alleanza con M5S e moderati»

«Devono essere gli alleati a dividersi sulle nostre proposte e non viceversa»

Dario Nardella sindaco di Firenze
di Alberto Gentili
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Martedì 21 Maggio 2024, 00:25

Dario Nardella è stato sindaco di Firenze per dieci anni e per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno è in campo per il Pd nella circoscrizione dell’Italia centrale. Con sé porta l’esperienza fatta a palazzo Vecchio: «Noi sindaci abbiamo concretezza e capacità di confronto. La soluzione ai problemi dell’Unione europea partono dalle città». E, da riformista, rivendica la necessità per il Pd di una politica di confronto che non penalizzi i moderati che «nel partito hanno piena cittadinanza e non sono messi ai margini: Veltroni fondò il partito parlando di riformismo radicale e ciò significa che riformisti e radicali non sono su sponde opposte».

Ciò detto, Nardella non nasconde il suo «no» a firmare il referendum della Cgil contro il Jobs act. Anzi. E suggerisce a Elly Schlein di prendere l’iniziativa politica: «Devono essere gli alleati a dividersi sulle nostre proposte e non viceversa». In più propone il lancio del Centro Italia come macroregione e ponte tra il Nord e il Sud del Paese.

Nardella, come slogan per la sua campagna elettorale ha scelto «dalle città rinasce l’Europa». Il senso?

«Il senso l’ho imparato facendo il presidente della più grande associazione di sindaci europei, dove ho constatato che i problemi e le soluzioni della Ue si trovano in larga parte nelle città. Su ambiente, infrastrutture, inclusione sociale le città possono essere la vera novità della spinta per l’integrazione europea dei prossimi anni, anche per avvicinare di più l’Ue ai cittadini».

Sono tanti i sindaci candidati nel Pd. Perché portate voti?

«Oltre ai voti portiamo uno stile e un metodo di attività politica, portiamo concretezza e capacità di confronto e dialogo con le comunità. È uno dei grandi valori aggiunti che il Pd ha in queste elezioni europee».

Lei è un riformista e per i riformisti nel Pd non tira un’aria buona. Elly Schlein ha annunciato il sostegno al referendum contro il Jobs act. Cosa ne pensa?

«Mi sento un riformista dialogante e credo che i riformisti abbiano piena cittadinanza nel Pd. Ricordo le parole di Veltroni nel 2007 al Lingotto quando, fondando il Partito democratico, disse che non si poteva cominciare un nuovo viaggio con un equipaggio dilaniato da vecchi rancori. E parlò del partito come il luogo dove unire non i resti di vecchie storie politiche, ma nuove culture tra cui quella riformista. In più, Veltroni parlò di un riformismo radicale. Quindi nel nostro partito riformisti e radicali non sono su sponde opposte e devono stare assieme».

Morando, su queste pagine, ha espresso un giudizio duro sulla segretaria sostenendo invece che Schlein nega la vocazione riformista del Pd e spinge i riformisti alla scissione…

«In realtà Schlein ha condiviso l’elezione a presidente del partito di Stefano Bonaccini, uno dei leader del riformismo dem e lavorano insieme. Non vedo perciò una marginalizzazione di chi ha questa cultura. Semmai il punto è andare oltre l’idea che cambiando i segretari si cambia il partito, altrimenti continueremo a cambiare il segretario ogni anno. Il partito va cambiato dal basso, ritrovando le ragioni che uniscono le diverse culture da cui è nato e dialogando. La strada è fare politica con le idee».

Fare politica è anche aderire, come ha fatto Schlein, al referendum contro il Jobs act?

«Fare politica non è solo dire no, come ho fatto io, alla firma del referendum. Ma proporre al gruppo dirigente un progetto innovativo di riforma del mercato del lavoro, visto che il Jobs act è stato parzialmente abolito dalla Consulta e non ha prodotto alcuni risultati attesi. Se non facciamo così rischiamo di dividerci sulle proposte altrui, come il reddito di cittadinanza o il referendum Cgil. Solo così possiamo riaffermare una leadership e una centralità del Pd nella coalizione di centrosinistra. Siano gli alleati a dividersi sulle nostre proposte e non viceversa».

Un altro tema divisivo è il sostegno all’Ucraina. Qual è la linea?

«È quella espressa dalla segretaria e votata più volte in Parlamento: il diritto dell’Ucraina a difendersi per la pace. Il resto sono posizioni personali. Perciò si deve spingere sull’Ue perché vi sia un vero sforzo diplomatico che a oggi non si vede».

Il campo largo appare moribondo, pensa sia possibile rianimarlo? E come?

«Le alleanze devono essere il frutto di dialogo e di ricerca di contenuti comuni e non si può fare a ridosso delle elezioni politiche.

Dopo le Europee avremo tre anni per preparare un’alleanza larga con moderati e 5Stelle attraverso la ricerca dei punti che ci uniscono e il confronto sui temi divisivi con tenacia, pazienza, mettendo al bando il tatticismo».

Lei è candidato nella circoscrizione dell’Italia centrale. In campagna elettorale si parla di Nord produttivo e di Sud da aiutare. Ritiene che a questa macroregione (Lazio, Toscana, Umbria e Marche) vada dedicata maggiore attenzione?

«Assolutamente sì. Se aggiungiamo l’Abruzzo abbiamo una macroregione che, come ha detto Diotallevi dalle colonne del Messaggero, costituisce il vero ponte di cui abbiamo bisogno tra Nord e Sud. Una macro regione con un Pil di 450 miliardi di euro pari a quello della Norvegia, con 13 milioni di abitanti e una capacità di export superiore a 130 miliardi. Il Centro Italia può essere il vero motore della crescita e di unificazione dell’Italia che appare più divisa di quanto non lo fosse 40 anni fa e che sarà ancora più divisa dalla scellerata riforma dell’autonomia differenziata. Ma ci vogliono due grandi operazioni».

Quali?

«La prima è dare un’identità strategica a questa macro regione anche attraverso incontri e confronti costanti tra istituzioni politiche, mondo economico e società civile per redigere progetti comuni. La seconda operazione è lanciare un vero e proprio piano per le infrastrutture che, purtroppo, il governo Meloni non sta facendo. Oggi ci vogliono 4 ore da Roma e Ancora, c’è stato il gioco delle tre carte sulla ferrovia Roma-Pescara, mancano i fondi per l’autostrada Tirrenica tra Toscana e Lazio e non c’è la volontà di rafforzare le due dorsali ferroviarie Roma-La Spezia e Adriatica. Progetti che servono per integrare le cinque Regioni che oggi invece vivono come monadi separate l’una dalle altre. Se sarò eletto proporrò di tenere ogni anno un vertice con istituzioni politiche, economiche e sociali per definire la rete infrastrutturale ed economica della macro regione del Centro e chiedere i fondi alla Ue».

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