Romano Prodi
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Migranti, se la storia cambia il vento

di Romano Prodi
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Sabato 18 Maggio 2024, 00:43

L’immigrazione rimane centrale nella campagna elettorale delle ormai vicine elezioni europee e addirittura già infuoca i dibattiti di quella americana, che pure si concluderà solo a novembre. Non si tratta certo di un fatto nuovo: l’immigrazione è ormai da decenni il test cruciale per la conquista dei consensi. Anche se su questo tema vi sono posizioni diversificate, esiste tuttavia una collaudata dottrina sul fatto che più si esercita una politica dura e severa nei confronti degli immigrati, migliori sono i risultati elettorali, sia che si tratti della concessione del diritto d’asilo, dei processi di accoglienza o delle politiche di concessione della cittadinanza.


Per questo motivo, le recenti decisioni europee in termini di immigrazione, pur essendo state criticate dai movimenti oltranzisti che le avrebbero volute più severe, hanno sostanzialmente proseguito nella direzione restrittiva. In particolare non si registrano passi in avanti nell’introduzione di elementi di solidarietà nei confronti dei paesi geograficamente più esposti ai flussi migratori, tra i quali vi è, evidentemente, l’Italia. Ancora più nette sono le prese di posizione anti immigrati negli Stati Uniti, dove si assiste ad una vera e propria gara su chi è più efficiente nel chiudere le frontiere meridionali. La dottrina per cui chi “picchia più forte in testa” agli immigrati vince le elezioni è ancora prevalente e viene ancora applicata e ritenuta intoccabile.

Eppure siamo già entrati in una fase di cambiamento del mondo del lavoro che presto sarà seguita da un nuovo orientamento dell’opinione pubblica. In tutti i paesi industrializzati, anche dove il tasso di crescita è modesto, la disoccupazione è crollata negli ultimi dieci anni. I motivi sono tanti ma, pur colpendo in modo non omogeneo tutti i settori economici, sono tuttavia comuni all’intero mondo produttivo: dall’agricoltura all’industria e a tutte le sfumature del terziario, dai servizi alla persona all’immenso comparto del turismo. Interi settori dell’economia sono già oggi letteralmente paralizzati dalla mancanza di mano d’opera. Non si tratta soltanto di mansioni particolarmente faticose o usuranti, ma di un cambiamento strutturale del mondo del lavoro. Il tutto è aggravato dalla progressiva diminuzione delle classi in età lavorativa. Il calo demografico dura infatti da diverso tempo e l’offerta di lavoro continuerà a calare molto a lungo.

Un crollo già garantito almeno per vent’anni, dato che i non nati non possono certo presentarsi al mondo produttivo. Già è cominciato l’allarme da parte di molte imprese paralizzate dalla mancanza di mano d’opera, così come sta diventando drammatica la situazione delle strutture di cura alla persona, dai professionisti della salute agli addetti ai servizi. Ben pochi stanno riflettendo sul fatto che, in un periodo di tempo non molto superiore a quello di una legislatura politica, comincerà una vera e propria competizione per attrarre gli immigrati più preparati e più facili da inserire nel nuovo contesto. Per essere ancora più chiari: entro pochissimi anni comincerà la concorrenza non solo fra imprese, ma anche fra gli stessi paesi. Una gara che non sarà decisa solo dal livello salariale, ma anche dalle strutture abitative, dalle occasioni di crescita professionale, dall’apprendimento della lingua e dalla possibilità di miglioramento delle condizioni di vita dei nuclei familiari.

Non è difficile constatare che l’Italia si colloca tra i paesi nei quali il problema del trattamento degli immigrati è stato costantemente messo in secondo piano rispetto a tutti i problemi fondamentali, dalla casa all’insegnamento della lingua italiana, fino all’inserimento scolastico dei figli e, ovviamente, all’ottenimento della cittadinanza. È infatti incomprensibile che nel nostro paese non sia stato possibile approvare un testo di riforma sulla cittadinanza almeno legato al compimento di un ciclo di studi.

Altri paesi, a cominciare dalla Germania, hanno invece percorso un cammino diverso arrivando persino, con una decisione allora controversa, ma oggi rivelatasi provvidenziale, ad attrarre centinaia di migliaia di cittadini siriani forniti di cultura e di capacità professionali certamente superiori rispetto alla media degli immigrati.

Ovviamente non mi auguro che altri eventi bellici, che spero non si ripetano in futuro, possano offrire una simile occasione all’Italia, ma ritengo che sia necessaria una normale capacità di attrazione in grado di fare funzionare le strutture economiche e sociali del paese.

Le pressioni che spingono in questa direzione sono crescenti e non siamo lontani dal momento in cui saranno così profonde e diffuse da costringere a un radicale mutamento dell’opinione pubblica. E non vi è alcuna Intelligenza Artificiale che possa evitare questo cambiamento. Un paese saggio e preveggenti partiti politici dovrebbero quindi riflettere sul fatto che questa evoluzione è inevitabile e che bisogna perciò preparare già da ora i necessari strumenti per provvedervi.

Si può, e forse si deve, cominciare con sperimentazioni di carattere locale e settoriale, ma è necessario capire in tempo in che direzione sta andando il mondo, senza perdere ancora una volta l’appuntamento con la storia. In fondo, in modo silenzioso e senza dirlo, lo stesso nostro governo, così ferocemente schierato contro l’immigrazione, è stato costretto ad aumentare il numero degli ingressi. Guidarli e regolarli è un interesse nazionale, certo più conveniente rispetto al denaro buttato via per costruire improbabili presidi in Albania.

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