«Aumentano le famiglie che chiedono cibo: in due mesi 170 richieste». L'allarme della Caritas

Le volontarie della Caritas di Viterbo
di Regina Villa
3 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Giugno 2020, 07:25 - Ultimo aggiornamento: 15:45
«Quello che registriamo è uno schiacciamento verso la povertà di persone che prima, invece, non avevano bisogno di aiuto». Il “prima” a cui fa riferimento Luca Zoncheddu, responsabile della Caritas diocesana di Viterbo, è quello in cui il Covid-19 non esisteva nemmeno nei peggiori incubi dei catastrofisti. Il coronavirus ha di fatto creato una spartiacque nelle comunità, con la Tuscia che non fa eccezione.

Caritas, l'allarme post-Covid: «C'è fame di lavoro, tantissime richieste»

«Ai nostri servizi – spiega il direttore – si sono riaffacciate famiglie che si erano stabilizzate ma con la crisi pandemica hanno di nuovo respirato la povertà. Ma ci sono anche molti nuclei familiari nuovi, che prima riuscivano a rispondere ai propri bisogni primari in maniera autonoma. E ora non ce la fanno più».

Zoncheddu parla di mamme con bimbi piccoli che si rivolgono alla Caritas perché il marito, che prima aveva un impiego al nero, ha smesso di portare a casa i soldi per la spesa. Oppure, quando fa riferimento ai tanti stranieri presi in carico, non si rivolge ai richiedenti asili o ai nuovi arrivi: si tratta, piuttosto, di quanti si sono stabiliti da anni nel Viterbese, mettendo su famiglia, e che ora sono rimasti senza lavoro. «Prima ancora di un aiuto economico per pagare le bollette, quello che ci chiedono è il cibo. Sono famiglie dignitose la cui prima necessità è quella di mangiare», spiega ancora.

È questo l’identikit di chi si rivolge al centro di ascolto, ancora ospitato nel monastero di Santa Rosa. Da gennaio sono 340 le persone che hanno bussato alla porta della Caritas: di queste, la metà nei mesi di aprile e maggio. In totale, 104 italiani e 236 stranieri: in maggioranza uomini (213), mentre le donne sono state 127, con una media giornaliera di presenze si aggira tra le 5 e le 6. “Negli ultimi due mesi sono arrivate da noi molte persone nuove (68, ndr) e altre che non si rivolgevano al servizio da anni. Le richieste maggiori – ribadisce Zoncheddu - hanno riguardato l'aiuto di tipo alimentare, ma anche informazioni rispetto ai servizi socio assistenziali presenti nel territorio e a eventuali bonus o agevolazioni che questi offrono”.

Alla mensa Don Alceste Grandori in questa fase, quella della ripartenza, ogni giorno si rivolgono una media di 40 persone. Sebbene si registri una “riduzione rispetto all'inizio dell'emergenza Codiv19, forse determinata anche dai tanti interventi alimentari messi in campo, proprio negli ultimi giorni – continua Zoncheddu – i numeri sono tornati ad aumentare”.

Al dormitorio, che fino al 31 agosto resterà a Santa Rosa, ci sono tra i 12 e i 14 ospiti al giorno. Ma il ragionamento di Zoncheddu si spinge oltre: “Va bene dare un aiuto immediato. Ma dobbiamo pensare anche alla costruzione di un percorso partecipativo di accompagnamento che crei una situazione di sostenibilità a lungo termine, orientata all’autonomia delle persone. Su questo – conclude - ci stiamo concentrando insieme ai servizi istituzionali”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA