Olio d'oliva, nel Viterbese quantità e qualità da record ma il Covid frena le vendite

Olio d'oliva, nel Viterbese quantità e qualità da record ma il Covid frena le vendite
di Luca Telli
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Sabato 14 Novembre 2020, 06:15 - Ultimo aggiornamento: 19:07

Più olio, qualità migliore e prezzi congelati ma le vendite non decollano. È la sintesi del raccolto 2020 che, con tre settimane ancora davanti, spaventa gli olivicoltori. Pesano gli effetti dell’emergenza sanitaria. Pesa lo stop alla ristorazione che da sola la vale il 30% del mercato. Una beffa con una produzione, in alcune zone della provincia, quadruplicata rispetto a 12 mesi fa.

«La previsione finale balla intorno ai 110 mila quintali (erano stato 32 mila nel 2019), con una resa alla molitura dal 7 al 9% - spiega Claudio Mazzuoli, direttore dell'oleificio sociale cooperativo di Canino che raccoglie 1200 soci nel territorio della omonima Dop – senza gli attacchi della mosca e con una stagione estiva e autunnale favorevole le piante hanno prodotto al massimo della loro capacità». Diminuzione dei fattori di disturbo esogeni che non significa solo aumento del quantitativo, ma un prodotto finale migliore.

«Tuttavia i prezzi non hanno subito ritocchi livellandosi sul 2019, siamo intorno ai 10 euro al litro – continua Mazzuoli –. da una parte per la grande quantità prevista a fine campagna, dall’altra per le problematiche sollevate dalla pandemia che spinge al buonsenso». Con una capacità di spesa ridotta, e che potrebbe assottigliarsi nei prossimi mesi, abbassare al minimo il rischio di un invenduto diventa la priorità. Ancora di più nell’incertezza di un futuro prossimo legato all’evoluzione della pandemia che impedisce previsioni di vendita nel medio periodo.

«Rispetto a un anno fa il passaggio al molino è molto diminuito – spiega Nicola Fazzi, direttore del Colli Etruschi di Blera, 330 soci che coltivano oltre 40.000 piante distribuite su 800 siti-.

Il saldo delle vendite non è negativo ma resta al di sotto delle attese». Tradite non solo dai grandi gruppi, ma anche dai nuclei famigliari che hanno tirato la cinghia e dagli imprenditori della ristorazione.

«Lo stop a bar, ristoranti e a tutto il settore della ristorazione è una mazzata – continua Fazzi –. Una saracinesca abbassata si porta dietro l’intera filiera: dai viticoltori, agli allevatori, agli olivicoltori. Tavoli e sale vuote sono solo la punta dell’iceberg». Non sono solo le cooperative ad accusare la flessione, anche i piccoli imprenditori come Francesca Boni, titolare dell’azienda Traldi che produce tra le campagne di Vetralla, Blera e al confine con la provincia di Terni a pochi chilometri da Orvieto, accusano il colpo.

 «Vendiamo i nostri oli con una maggiorazione compresa tra i cinquanta centesimi e l’euro– spiega Boni, premiata nel 2018 con il ‘best in class award’ a New York-. Non c’entra la quantità, visto che la macchia di leopardo alla quale siamo stati abituati negli anni scorsi è sparita, piuttosto il calo delle vendite e la difficoltà di collocare il prodotto sul mercato. L’ecommerce ci sostiene, ma non basta. È stata una scelta necessaria».

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