Medici di famiglia, l'allarme della Fimmg: «Da qui al 2023 via in 50. Interi comuni senza assistenza»

Medici di famiglia, l'allarme della Fimmg: «Da qui al 2023 via in 50. Interi comuni senza assistenza»
di Federica Lupino
2 Minuti di Lettura
Lunedì 21 Marzo 2022, 06:50 - Ultimo aggiornamento: 22 Marzo, 11:21

Per un’emergenza che volge al termine, una che si aggrava. A fine mese termineranno le misure più drastiche introdotte poco meno di due anni fa per fronteggiare la pandemia da Covid-19, ma Michele Fiore, segretario della Fimmg provinciale, mette in guardia su un'altra urgenza da risolvere: “Nei prossimo mesi la grave carenza di medici di famiglia si farà ancora più grave, per raggiungere l’apice nel 2023”. Da qui al prossimo anno, una 50ina dei 230 professionisti attualmente operativi negli ambulatori di tutta la provincia se ne andranno in pensione.

A loro vanno aggiunti i 70enni che hanno ottenuto una deroga fino a giugno per continuare a prestare servizio proprio a causa dell’epidemia. “Come sindacato – spiega Fiore – proporremmo che, quanti volontariamente hanno chiesto di restare, possano continuare in quelle zone che altrimenti resterebbero scoperte”. Già ora ci sono aree della provincia particolarmente in sofferenza, a causa dei pensionamenti e della carenza di nuovi medici di base. Si trovano soprattutto nei distretti Vt A, quello che fa capo a Montefiascone, e in quello Vt C, con capofila Civita Castellana. 

“Le situazioni peggiorano più i centri sono piccoli e i territori sparsi. A Viterbo città questa carenza ancora non si sente. Ma in comuni con meno abitanti sì.

Per agevolare il ricambio – continua il segretario Fimmg – abbiamo riproposto alla Regione Lazio l’idea di aumentare il massimale degli assistiti da 1.500 a 1.800”. Rispetto alle eventuali prospettive che potrebbero arrivare col Pnrr, come la creazione di 12 Case della comunità annunciate dalla Regione Lazio nei giorni scorsi, Fiore mette le mani avanti: “Questa soluzione non ci convince perché – sostiene – in strutture simili si perde il contatto vero con le famiglie e con l’assistito. Noi vogliamo essere medici di famiglia vicini al paziente, mantenere quel rapporto di fiducia che caratterizza il nostro lavoro. Nelle Case di comunità chiunque vada ogni volta troverebbe un medico diverso”.

Il sindacato spiega inoltre che così non sarebbe più il medico ad andare dai malati “ma loro a doversi spostare, con tutte le difficoltà conseguenti per i più anziani. Noi portiamo la nostra professionalità a casa di chiunque, conosciamo la storia clinica dei nostri assistiti. Le case di comunità non risolveranno l’emergenza assistenziale che si creerà nei prossimi mesi a causa – conclude – di una programmazione scellerata che ha inserito il numero chiuso nelle università”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA