“Circa l’80% delle popolazione over12 della Tuscia risulta al momento immunizzata. L’emergenza Covid, visti anche i numeri degli ultimi bollettini, sembra destinata a rientrare. Ma in provincia stiamo per affrontare un nuovo pericolo che noi denunciamo da anni: mancheranno i medici di base”. Michele Fiore, segretario provinciale del sindacato di categoria Fimmg misura le parole nel denunciare una bomba a orologeria pronta a deflagrare in molti dei 60 comuni del Viterbese. I primi segnali della detonazione si sono già palesati in alcuni territorio: a Blera, ad esempio, dove un medico sta per andare in pensione e i cittadini hanno lanciato una raccolta firme, terrorizzati dall’idea di restare senza assistenza. O a Caprarola dove lavorano due colleghi over70 in deroga.
Nel prossimo futuro i numeri sono da allarme rosso: dei 230 medici di medicina generale al momento operanti, 67 andranno in pensione da qui alla fine del 2023. “Se si considera che altre unità ci andranno prima di quanto previsto dal contratto collettivo nazionale, significa che nel giro di un paio di anni circa un terzo dei medici di famiglia mancheranno all’appello”, denuncia Fiore. L’età in cui scatta l’obbligo di appendere il camice al chiodo è quella di 70 anni. Complice l’emergenza Covid, sinora la situazione è stata tamponata concedendo deroghe di sei mesi (per alcuni anche rinnovati). “Ma al 31 dicembre – sottolinea - lo stato di emergenza terminerà e il comitato aziendale insediato alla Asl non potrà più concederle perché mancheranno i requisiti per farlo”.
Come ovviare, quindi? “Una soluzione che abbiamo proposto in attesa che arrivino nuove leve è quella di aumentare il massimale, ovvero – spiega il segretario Fimmg – il numero massimo di assistiti di cui ciascun medico si può far carico”.
Come si è arrivati a questo punto? “Non ci sono giovani medici per scelte poco lungimiranti della politica. I corsi per accedere alla professione sono di continuo rimandati e i paletti troppi. Da anni denunciamo quello che sarebbe successo ma nessuno ci ha ascoltati. L’impressione è che si sia voluto spingere nella direzione delle case di comunità che però non potranno mai sostituire il rapporto di fiducia e la prossimità assistenziale che solo un medico di famiglia può garantire. Come comitato aziendale abbiamo chiesto alla Regione – conclude – di aumentare i massimali in attesa di nuove leve e che le case di comunità siano da integrazione rispetto al nostro ruolo. Ma sinora non abbiamo avuto risposte”.