Ismail Rebeshi non risponde. Ieri mattina davanti al gip del Tribunale di Roma il boss di mafia viterbese ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Di non fornire nessuna versione alternativa a quella della Procura capitolina. I magistrati gli contestano di essere un rifornitore di stupefacenti per una banda di albanesi e italiani che spacciava a Roma Sud.
Droga, movida e soldi: una holding gestita dal boss albanese Ismail Rebeshi
La nuova accusa è emersa nell'ambito dell'operazione Sottovuoto della Mobile della capitale. «L'indagine, complessa e laboriosa, ha interessato il periodo compreso tra maggio 2018 ed il mese di giugno 2019 - ha spiegato la Questura - ed ha consentito di raccogliere chiari elementi probatori a carico del gruppo criminale che operava nella zona sud del litorale della Capitale, nelle zone di Ardea e Pomezia».
Le indagini partono nel 2018 con l'arresto di un cittadino italiano incensurato, F.S.
Complessivamente, l'attività d'indagine ha permesso di sequestrare una pistola semiautomatica, compendio di furto, 30 kg di marijuana, oltre mezzo kg di eroina, 37 grammi di hashish, nonché materiale per il peso ed il confezionamento delle singole dosi. A mettere gli investigatori sulle tracce del boss di mafia viterbese sarebbe stata un'intercettazione. «Io stavo per spararmi con quello di Viterbo - avrebbe detto uno degli indagati - per questo mi sono raffreddato».
E quello di Viterbo sarebbe proprio Rebeshi. «L'indagine - hanno spiegato gli investigatori - ha consentito di individuare l'uomo dal quale lo stesso Lele si riforniva, noto come Ermal, orbitante nella zona di Viterbo». Ermal è uno dei tanti alias con cui si faceva, e si fa chiamare tutto, Ismail Rebeshi. «Il mio assistito - ha affermato l'avvocato Roberto Afeltra al termine dell'interrogatorio - in questa vicenda è accusato di un solo fatto. La posizione è sicuramente marginale. Per questa ragione stiamo già preparando il Riesame».
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