Mafia viterbese, parla la vittima di estorsione: «Pecci era un pavone, si sentiva protetto da Trovato»

Il giorno dell'arresto di Giuseppe Trovato
di Maria Letizia Riganelli
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Venerdì 16 Ottobre 2020, 06:25 - Ultimo aggiornamento: 18:14

«Pecci era un pavone, si sentiva protetto da Trovato». La vittima di estorsione dell’imprenditore del settore estetico e del boss di mafia viterbese testimone in aula. Udienza fiume quella di ieri. In mattinata il pentito Sokol Dervishi ha parlato per oltre tre ore dal carcere rincarando la dose su alcuni aspetti e circostanziando alcuni episodi.

Nel pomeriggio il collegio ha invece focalizzato l’attenzione sul capo di imputazione che vede protagonista Manuel Pecci accusato di estorsione aggrava dal metodo mafioso ai danni di un ristoratore che si era rivolto a lui per un trattamento estetico.

«Ho fatto due sedute di luce pulsata e alla fine della seconda ho riportato delle ustioni - racconta -. Dopo vari messaggi con Pecci che conoscevo da tempo sono andato nel suo negozio per fargli vedere cosa era successo. Una volta lì ha iniziato ad accusarmi. Dicendomi che era stata colpa mia che avevo preso il sole. Pecci mi disse che dovevo stare calmo mi lancio i 200 euro delle sedute. Gli disse che avrei fatto valutare il danno, non tanto economico ma fisco». L'esordio è un battibecco con un cliente insoddisfatto. Quello che accade poco dopo, secondo l’accusa, tratteggia tutti i connotati di un’estorsione mafiosa.

«Dopo qualche giorno, era novembre 2017, si è presentato al mio locale Giuseppe Trovato e persone che non conoscevano - solo dopo ho scoperto essere alcuni degli albanesi arrestati - .

Trovato, che non era un mio cliente abituale, mi disse che con Pecci non serviva mettere in mezzo nessuno, di non fare denunce che ci avrebbe parlato lui. Non sapevo perché Trovato mi parlasse di quella vicenda e mi sembrò strato. Io però dopo un po’ di tempo e di messaggi senza risposta chiesi al mio avvocato di mandare una lettera per un appuntamento». La lettera scatena le ire di Trovato.

«Il giorno dopo sono arrivati davanti al locale Pecci e Trovato, il primo davanti e il secondo subito dietro tipo bodyguard. Mi hanno aggredito verbalmente. Pecci sventola il foglio e Trovato mi diceva che in quel modo lo avevo offeso. Pecci era un pavone, si sentiva protetto da Trovato. Mi diede anche una pacca sulla spalla dicendomi “adesso puoi anche andare”. Sembrava un film western. Io consultandomi anche con l’avvocato ho fermato tutto, ero intimorito». Ovviamente la vicenda peggiora, perché il clan di Trovato e Rebeshi pianificano attentati per far capire all’imprenditore. I carabinieri però ogni volta sventato tutto.

«Ricordo una sera che i carabinieri mi hanno seguito fin dentro casa - ha detto - allora non sapevo niente di cosa stava succedendo».

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