Viterbo, clan mafioso o semplice criminalità: il giorno del primo giudizio

Ismail Rebeshi,l'albanese ritenuto a capo dellabanda
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Giovedì 11 Giugno 2020, 10:34
Giorno del verdetto per la banda di calabresi e albanesi. Questa mattina nell'aula Occorsio del Tribunale di Roma la giudice Emanuela Attura emetterà la sentenza di primo grado per Ismail Rebeshi, Giuseppe Trovato e gli altri 8, tutti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso.

I pm Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci per il sodalizio hanno chiesto 135 anni, cumulativi, di carcere. Pene altissime nonostante il processo sia stato celebrato con rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo delle pene. Quella di oggi è una sentenza attesa da tutta la città: per la prima volta viene contestata un'associazione mafiosa nata e cresciuta nel capoluogo della Tuscia. Fino al 25 gennaio 2019, giorno degli arresti, nessuno aveva messo a segno così tanti crimini a Viterbo. Crimini, secondo l'accusa, legati da una metodologia ben precisa: quella mafiosa.

Una tesi che avrebbe trovato riscontro nella teorizzazione delle piccole mafie, ma contestata più volte tra la difesa degli imputati. Tutti gli avvocati hanno sostenuto che la banda di albanesi e calabresi non altro che un gruppo di criminali comuni con la passione, forse troppa, per la cocaina. Sarebbe questo - anche per l'accusa, stavolta - il vero collante del sodalizio. La droga, lo spaccio e il traffico su larga scala: aspetti non approfonditi da questa indagine, ma che per gli inquirenti non è secondario.

Presto infatti potrebbero arrivare le conclusioni di indagini sullo spaccio in città, gestito da Rebeshi e da altri appartenenti al gruppo. Un gruppo che negli anni si era organizzato gerarchicamente: i capi indiscussi, Trovato e Rebeshi, avevano messo insieme persone di cui potevano fidarsi ciecamente. L'ideatore sarebbe stato Trovato che avrebbe organizzato «l'associazione - disse il pm in udienza - importando una metodologia tipica di zona dove sono radicate organizzazioni mafiose di tipo tradizionale, tanto che nella città di Viterbo viene comunemente chiamato il calabrese e ritenuto appartenere alla ndrangheta».

Rebeshi aveva fama di essere un boss posto al vertice di un sodalizio con soggetti albanesi particolarmente violenti. L'associazione sarebbe nata, appunto, come saldatura tra gli interessi del Trovato e quelli del Rebeshi; «Calabresi e albanesi, la meglio fusione che c'è in tutto il mondo», si sente nelle intercettazioni al gruppo. Fusione che oggi potrebbe portare a condanne pesanti, tali da incidere anche nel procedimento con rito ordinario che si sta svolgendo a Viterbo e che vede imputati, per estorsione aggravata dal metodo mafioso, i due imprenditori Emanuele Erasmi e Manuele Pecci, e il romeno legato a Rebeshi, Pavel Ionel.
 
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