'Ndrangheta viterbese, le difese: «Ma quale mafia, erano solo compagni di merende»

Uno degli incendi causati dalla banda di Trovato
di Maria Letizia Riganelli
3 Minuti di Lettura
Domenica 7 Giugno 2020, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 20:06
Mafia o semplice banda di criminali col vizio del fuoco? La partita è tutta qui. E lo sanno bene gli avvocati di Giuseppe Trovato, Ismail Rebeshi e di tutti gli 8 sodali accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, che in questi giorni stanno facendo il tutto per tutto per far cadere il 416 bis. 

«Trovato - hanno detto gli avvocati della difesa in udienza - non aveva nessun prestigio criminale. La pubblica accusa accomuna questa banda al clan degli Spada, ma la differenza è sostanziale: a Ostia nominare Spada fa tremare, a Viterbo nominare Trovato fa ridere. Erano solo compagni di merende, col vizio delle discoteche e della cocaina». Una ricostruzione difensiva diametralmente opposta da quella sostenuta dai pubblici ministeri antimafia Giovanni Musarò e Fabrizio Tucci che nella banda di calabresi e albanesi hanno letto chiaramente l’appartenenza mafiosa.

Nello specifico il sodalizio è stato collocata nelle “piccole mafie”, ovvero organizzazioni con un basso numero di appartenenti, che si avvalgono della forza di intimidazione non in via generalizzata, ma in un limitato territorio o settore. L’organizzazione capeggiata da Trovato e Rebeshi ha messo a segno 50 tra attentati incendiari, danneggiamenti ed estorsioni in poco più di due anni. Il “lavoro” è stato bruscamente fermato il 25 gennaio 2019 quando i carabinieri del Nucleo investigativo hanno messo fine alla loro attività riuscendo a ottenere misure cautelari restrittive. 

E in ogni azione, secondo l’accusa, c’era la firma mafiosa. Data dall’intimidazione che incutevano e dall’accento che Trovato riusciva a imprimere grazie alle sue parentele “famose“. Le stesse che ora gli avvocati della difesa tentato di allontanare. A ricordarle vivamente però c’è l’unico pentito della banda. Sokol Dervishi, per anni alla mercé di Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, dopo pochi mesi di carcere duro ha deciso di vuotare il sacco, rivelando retroscena e fatti sconosciuti.

«Quando andavamo a parlare con qualcuno - ha detto durante un’interrogatorio Dervishi -, Trovato ricordava le sue parentale. Diceva sempre siamo legati. Era il suo modo di fare, usava il nome di queste famiglie potenti».
Trovato avrebbe infatti importanti collegamenti con membri della ‘ndrangheta, apparterebbe a una famiglia originaria di Lamezia Terme e storicamente legata al clan Giampà. In particolare i cugini del boss del sodalizio viterbese sono i lametini Franco e Luciano Trovato, finiti in carcere in seguito all’operazione antimafia Perseo. 
Un legame familiare stretto e di mutuo aiuto. «Questa pistola me l’ha data mio cugino - disse Trovato in un’intercettazione - non lo so magari è sporca chissà che mi fanno».

Ed è da cugini che Trovato si presenta quando ha bisogno di aiuto e in una delle visite si fa accompagnare da Dervishi. «Abbiamo incontrollato Franco - ha affermato il collaboratore di giustizia - a Lamezia Terme. Trovato ha parlato con lui ma non so cosa si sono detti. In quei giorni abbiamo dato fuoco alla macchina di un tale che Giuseppe pensava avesse bruciato due auto alla sorella». Mafia o banda di criminali? La domanda resta. La risposta sarà nella sentenza di primo grado attesa subito dopo le ultime discussioni in calendario per domani.
Intanto le difese sono già pronte: « Se sarà necessario - ha detto l’avvocato Giovanni Labate - ricorreremo in Appello e e in Cassazione, proprio per confutare l’impostazione originaria».
© RIPRODUZIONE RISERVATA