Il calabrese, da 15 anni trapiantato nel capoluogo e con legami con la ‘ndrangheta dei Giampà, e l’abanese, trafficante di stupefacendosi, incontrandosi hanno deciso di fare affari comuni. Aiutandosi nei rispettivi campi. «Calabresi e albanesi - diceva Trovato - la mejo banda che c'è».
Viterbo, riconosciuta la matrice mafiosa: condanne per 79 anni di carcere ai 10 della banda
Era il 2017 l’anno in cui presero a saltare le prime macchine in città. Da quel giorno e fino a gennaio 2019 gli attentati, i danneggiamenti e le intimidazioni sono stati innumerevoli. I primi a vedersi l’auto andare a fuoco sono stati i titolari dei compro oro della città concorrenti di Giuseppe Trovato. Poi è toccato agli imprenditori come Roberto Grazini che gestisce una ditta di traslochi concorrente a Gabriele Laezza. Poi ai rumeni che volevano avviare serate danzanti per stranieri.
E ancora: ai politici che avrebbero potuto, e non lo hanno fatto, far entrare il sodalizio negli affari del Comune come l’ex assessore Ubertini e tutta la sua famiglia. La banda specializzata in atti incendiari non ha lesinato nemmeno nelle intimidazioni. Le teste di agnelli grondando sangue lasciate sull’uscio di casa o sui cofani delle auto ne sono la testimonianza. E lo sanno i membri della famiglia di Piero Camilli che sono stati martoriati. Tutto per ottenere soldi, fedeltà e rispetto. Lo stesso rispetto che la banda voleva anche dai piccoli delinquenti locali.
«Spariamo agli zingari - dice Trovato nelle intercettazioni - lo sai quanto onore abbiamo dopo. E poi facciamo la guerra». A mettere fine alla strisce di attentati, durati oltre due anni, i carabinieri del Nucleo investigato di Viterbo, guidati dal maggiore Marcello Egidio. Era il 25 gennaio 2019. All’alba venivano portati in carcere, su ordinanza del gip del Tribunale di Roma, capi e gregari di una mafia nata e cresciuta in città.
«Le indagini - ha spiegato il rapporto semestrale della Direzione investigativa antimafia - hanno fatto luce su una nuova e agguerrita mafia autoctona italo-albanese promossa da un calabrese, trapiantato nel viterbese da circa 15 anni.
L’uomo, con importanti collegamenti con membri della ‘Ndrangheta, si avvaleva della ferocia e della forza militare degli albanesi. È la prima volta che nel viterbese emergono connessioni di questo tipo, segnale del fatto che non ci sono territori che possono essere considerati immuni dagli interessi mafiosi».
Quella mattina i militari arrestarono 13 persone. I due capi Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi, i gregari Sokol Dervishi (pentito e collaboratore), i fratelli Patozi, Gazmir Gurguri, Martina Guadagno, Fouzia Oufir, Luigi Forieri e Gabriele Laezza. Finirono in manette, ma senza essere parte dell’associazione, anche Ionel Pavel e i due imprenditori viterbesi Emanuele Erasmi e Manuel Pecci oggi liberi.
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