Mafia viterbese, i consigli del boss: «Smetti col compro oro, apriti un alimentari»

Giuseppe Trovato
di Maria Letizia Riganelli
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Giovedì 25 Giugno 2020, 09:32 - Ultimo aggiornamento: 19:29
«Hanno chiuso tutti! Però altri due ancora insistono, non capiscono forse vogliono essere chiusi in un cappotto di legno». Le parole di Giuseppe Trovato, lette in aula dal comandante del Nucleo investigativo Marcello Egidio, raccontano la battaglia del capo della banda di mafiosa contro gli imprenditori di compro oro concorrenti. 

Davanti al collegio del Tribunale di Viterbo la testimonianza del maggiore dei carabinieri, che ha condotto le indagini fin dal principio, fa rivivere alcune delle azioni più eclatanti del gruppo di albanesi e calabresi, già condannati in primo grado per mafia. Al Palagiustizia è in corso il procedimento per gli unici tre, dei 13 arrestati a gennaio 2019, a cui non era stata contestata l’associazione mafiosa. Si tratta dei due imprenditori viterbesi Emanuele Erasmi e Manuel Pecci e del tuttofare romano alla mercé di Ismail Rebeshi, Pavel Ionel. I tre devono rispondere di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ma le loro imputazioni ieri non sono state affrontate.

Si parte dall’inizio. Dalla battaglia di Trovato. «Una battaglia - ha spiegato il comandante Egidio - condivisa da tutti i sodali». E portata avanti a colpi di atti incendiari e intimidatori. Tra tutti gli imprenditori, solamente due non si piegano al boss e tentano il tutto per tutto pur di rimanere in piedi. Trovato per loro vuole il “cappotto di legno“. Mentre diventa disponibile all’aiuto per chi, dopo uno stillicidio di attentati, cede e chiede un incontro.
E’ il caso dei due conviventi e imprenditori Petrini e Macrì che dopo diverse azioni intimidatorie anche a distanza di pochissimi giorni, tramite il suocero chiedono un incontro a Trovato.

«Dell’incontro - ha detto ancora il comandante Egidio - si ha notizia attraverso le intercettazioni. Trovato vede le vittime in un bar di Viterbo insieme a Rebeshi, Dervishi. Poi racconta tutto alla fidanzata e alla commessa».
Il calabrese avrebbe dato al suocero dell’imprenditore un consiglio: «Tu ti apri un bell’alimentari, ti aiutiamo noi. Poi se hai un problema, i clienti li portiamo noi. Ma non mi acciaccà più i piedi perché tu lo sai che ti scoppio bene».

Consiglio e avvertimento esplicito che per i magistrati dimostra pienamente il fare mafioso della banda di albanesi e calabresi. «Una struttura - ha sottolineato ancora - piramidale con a capo Trovato e Rebeshi che pianificano e attuavano gli attentati, mentre tutti agi sodali condividevano pienamente ogni azione».
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