Mafia viterbese, i carabinieri: «​Orgogliosi di aver reso un importante servizio alla città»

Guglielmo Trombetta, comandane dei Nucleo operativo di Viterbo
di Maria Letizia Riganelli
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Sabato 13 Giugno 2020, 08:00 - Ultimo aggiornamento: 18:17

«Orgogliosi per aver reso un importante servizio alla città». Il comandante del Nucleo operativo dei carabinieri di Viterbo, Guglielmo Trombetta, commenta la sentenza di primo grado sulla banda di calabresi e albanesi. Una banda mafiosa inchiodata proprio dai carabinieri con una iniziato una meticolosa operazione. 

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«La sentenza - dice il comandante Trombetta - è la prova della professionalità con cui sono state condotte le indagini. Sono state lunghe e articolate e non si è trattato solamente di ascoltare le conversazioni tra i membri della banda ma di ascoltare e sventare allo stesso tempo tantissimi attentati che progettavano di porre in essere. Essere riusciti a evitarne più di quanti si possa immaginare e senza compromettere l’esito delle indagini e quindi non far insospettire gli indagati è stato un lavoro duro. Ma alla fine ci ha consentito di raccogliere elementi fondamentali che hanno retto in maniera incontrovertibile alla prova del tribunale».

L’indagine sulla mafia a Viterbo nasce tre anni fa, gli investigati iniziano a raccogliere prove su un probabile traffico di stupefacenti. Ascoltano le conversazione degli indagati, ma ben presto scoprono che c’è dell’altro. 
«Le indagini che abbiamo svolto, coordinati dalla Dda, hanno dimostrato - afferma ancora il comandante - che la banda che avevano messo insieme Giuseppe Trovato e Ismail Rebeshi aveva tutti i crismi di un’associazione mafiosa. Durante l’attività c’è stato un crescendo di consapevolezza che si erano uniti due elementi pericolosi: quello della spavalderia tipica dell’est con quello della metodologia di Trovato con background ‘ndranghetista».

E l’indagine si fa più pressante. Come gli attentati a scopo intimidatorio. Vengono crivellate vetrine e saltano anche le auto dei carabinieri. «L’operazione Erostrato - continua - è stata molto difficile, l’Arma è stata oggetto minacce e attentati da parte del sodalizio. Sono state date alle fiamme auto di militari il cui unico torto era stato quello di aver compiuto il loro dovere».

Un dovere che di certo non finisce oggi. «L’allarme resta alto per definizione, come dimostrano i 4 arresti legati alla banda effettuati solo pochi mesi fa, dobbiamo impedire - conclude - l’insorgenza fenomeni criminosi. Non posso non sottolineare che siamo soddisfatti di aver reso un importante servizio alla città, aver tolto una pericolosa cellula tumorale, operando sul nascere. Se il fenomeno si è verificato, però, è successo perché c’erano i presupposti, come ha detto Dda nessun territorio è immune, per questo è importante che la città nella lotta alla criminalità faccia la sua parte. Nessuno fa niente da solo».

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