La mafia a Viterbo e le influenze sulle elezioni. «Sindaco, non parlarne è fare un favore a loro»

La mafia a Viterbo e le influenze sulle elezioni. «Sindaco, non parlarne è fare un favore a loro»
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Martedì 22 Settembre 2020, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 17:49

I tentativi di infiltrazione della mafia viterbese nella vita politica cittadina? Soltanto un pretesto per screditare l'attuale realtà amministrativa locale, un becero tentativo della minoranza per attaccare l'operato e l'onestà della giunta comunale guidata da Giovanni Arena.

A questa rilettura della sentenza di condanna del clan Rebeshi-Trovato da parte del tribunale di Roma, formulata in maniera evidentemente scomposta e non pertinente da parte del sindaco di Viterbo, replica il consigliere comunale Giacomo Barelli (Forza Civica) 

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«La mafia? “E' un'invenzione dei comunisti per danneggiare la DC”, disse nel 1963 un autorevole alto prelato di Palermo, all'indomani della strage di Ciaculli.... e sulla stessa falsa riga ricordiamo l’invettiva di Totò Riina nell’aula bunker di Reggio Calabria nel 1994: “Il signor Violante, il signor Caselli da Palermo, il signor Arlacchi. Sono i comunisti che portano avanti queste cose, c’è tutta una combriccola e il governo si deve guardare da questi attacchi comunisti...". Provo sconcerto per le parole del sindaco Arena che preferisce attaccare l'opposizione invece che prendere posizione su una vicenda così importante e che ha sconvolto la comunità cittadina».

Così il consigliere comunale Barelli replica alle parole del sindaco sulla questione delle infiltrazioni mafiose «per la prima volta nella storia accertate nella città di Viterbo, e sulle quali la politica ha il dovere di interrogarsi». Invece di lasciarsi andare a espressioni del tipo "non finisce qui... la devono pagare", oppure "hanno sbattuto il muso", secondo Barelli sarebbe stato preferibile «che il sindaco le avesse riservate agli esponenti della criminalità organizzata che hanno "infestato"  la città di Viterbo piuttosto che a consiglieri comunali di opposizione». 

Ma la sostanza è un'altra: «Si è preferito ancora una volta non affrontare la questione e si è divagato su "temi gastronomici", piuttosto che affrontare in maniera seria e responsabile una vicenda, "quella morale" appunto, che alla luce di quanto sancito nella sentenza di primo grado del caso Erostrato, e in altre indagini in corso in città, non può non riguardare la politica», dice il consigliere. Che prende a esempio una frase di don Ciotti,  il fondatore di Libera: «Ti confermo che per quello che mi riguarda "di mafia ne parliamo qui, dove non se ne vuole sentire parlare"  e senza alcun timore».
 
Lo stesso Presidente della Repubblica  appena ieri nell 'anniversario della  vile uccisione del giudice Rosario Livatino ha richiamato « la necessità di resistere alle intimidazioni  della mafia opponendosi a logiche compromissorie e all'indifferenza, che minano le fondamenta dello stato di diritto», ricorda Barelli.  Aggiungendo che «non ci stancheremo mai di richiamare l'attenzione e di combattere le nostre battaglie di legalità e di trasparenza nelle aule consiliari e in città».

Il richiamo è a «una politica che non sminuisca fenomeni gravi e che rifletta sul fatto che spesso "la vera forza della mafia sta fuori dalla mafia", Di mafia se ne parli anche al di fuori del consiglio comunale, magari con iniziative nei quartieri dove per primi le istituzioni, la maggioranza, l'opposizione, si confrontino tra loro con i cittadini, con la stampa, con le forze sociali su questo tema, informando e raccontando quello che è successo risvegliando così quella coscienza civile, unico anticorpo al cospetto della criminalità organizzata». 

 

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