Entrare in piazza Sallupara, oggi, è un colpo al cuore. Il cantiere è immobile, morto. Non c'è nessuno, né la mattina né la sera. Ci sono solo tante auto parcheggiate intorno alla recinzione: automobilisti stressati che, approfittando della situazione di stallo, se ne fregano dei cartelli di divieto di sosta. Se non c'è nessuno a lavorare, non si ostacola nessuno, del resto, l'immobilismo del pubblico chiama l'inciviltà del privato. E' un po' la teoria della finestra rotta tanto cara a Rudolph Giuliani, solo che risciacquata nell'acquacotta.
Del resto, la sosta selvaggia può anche essere tollerata, in un quartiere letteralmente martoriato. Da qui si vede via Cairoli, sbarrata da un altro cantiere non immobile, ma che procede lento come un bradipo (“Oggi abbiamo completato altri dodici centimetri, evviva”). La mattina s'aggiunge anche il mercato in piazza San Faustino, molto pittoresco signora mia. E il resto è noto: la sporcizia, il degrado, i negozi etnici, l'alta presenza di extracomunitari.
Ma Sallupara, il progetto di riqualificazione e di realizzazione di un “centro culturale”, qualsiasi cosa voglia dire, c'era già da prima. Ad aprile del 2015 la consegna dei lavori, con tanto di tour guidato nel cantiere, con l'assessore Alvaro Ricci, l'ex sindaco Marini (allora invitato per cortesia costituzionale, oggi sembra un terribile scherzo), il sindaco Michelini, i vertici di Intesa, i progettisti, il capo cantiere. Ma dicembre arrivò e i lavori non finirono, e così è quasi due anni dopo. Raccontano le cronache che a maggio ci fu qualche polemica sul fatto che piovesse all'interno della struttura, ma l'assessore smentì: mancava semplicemente il tetto. Semmai erano le mura civiche ad aver causato qualche grattacapo: già, le gloriose mura di Viterbo, impossibile prevedere che ci fossero, anche se sono lì dal Medioevo. Resta soltanto una speranza, anzi due: che il ministero dei Beni Culturali dia una mano e che lo faccia il prima possibile. Che da queste parti vuol dire prima delle elezioni.
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