Viterbo, verso la fase 2. Cna e Confartigianato: «Alle imprese serve liquidità, non prestiti»

Andrea De Simone e Luigia Melaragni
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Martedì 28 Aprile 2020, 08:10
Parla l’artigianato. La foto della situazione, in vista della fase 2, per il settore la scattano Andrea De Simone e Luigia Melaragni, segretari rispettivamente di Confartigianato e Cna. Criticità, aspettative, suggerimenti, ma su una cosa concordano: «Serve liquidità vera».

Le imprese aspettano di ripartire con impazienza. «Ci sono aziende – dice De Simone - che si sono trovate da un giorno all’altro a chiudere, come quelle dei settori ristorazione e centri estetici e acconciatura. Sugli ultimi daremo battaglia, la decisione di farli riaprire il 1 giugno è inaccettabile. All’inizio c’è stata disorganizzazione, per carità, frutto della situazione emergenziale, ma ora ci sono da raccogliere le macerie. E anche chi lavora lo fa a mezzo servizio. La situazione è disperata».

«Tutti i settori – spiega Melaragni - hanno la volontà di riprendere a lavorare. La domanda che ci arriva in questi giorno più di altre è: quando? Acconciatori, estetisti e servizi alla persona devono riaprire subito. Possono garantire la sicurezza. Altrimenti saranno costretti alla chiusura definitiva».

A breve ci sarà da riorganizzare il futuro del settore. «Le imprese – continua la segretaria della Cna - apriranno con misure di sicurezza e organizzative diverse, che comporteranno una riduzione del lavoro. Gli effetti saranno diversi a seconda della categoria, ma avremo un aumento dei costi per i dispositivi di protezione e la sanificazione. La situazione sarà complicata, la criticità sarà dunque trovare l’equilibrio. Avremo una minore domanda in generale perché si uscirà meno, soprattutto di beni di non stretta necessità. E paradossalmente i costi potrebbero superare i ricavi o gli ultimi essere pochi».

«Quello che mi preoccupa, e un esempio può valere per la ristorazione – commenta il segretario di Confartigianato - è che chi faceva 80 coperti, con le nuove misure ne potrà fare 40: o chiude, o licenzia metà del personale, o ha bisogno di soldi».

E’ questo il punto cruciale di tutta la situazione. «L’esigenza primaria è quella di soldi. I Comuni possono traslare le scadenze delle tasse locali e avere un occhio di riguardo sull’occupazione di suolo pubblico. Tutto ciò che è venuto in questi giorni dal governo – spiega ancora De Simone – invece è insufficiente: la tanto sbandierata potenza di fuoco, i famosi 25 mila euro sono prestiti da restituire, sebbene con un tasso di interesse agevolato. E la banca alla seconda rata insoluta escuterà la garanzia del fondo: a quel punto sarà lo Stato a venirti a cercare. Non possiamo andare avanti con i sussidi. I dipendenti in cassa integrazione i soldi non li prendono, per i 600 euro abbiamo visto cosa è successo, i fondi disponibili non soddisfano nemmeno il 20 per cento delle richieste. La richiesta forte è vera liquidità».

Stesso punto nel mirino di Melaragni. «Oltre a ridurre la burocrazia serve un’iniezione di liquidità, perché i prestiti poi li devi pagare: se non ci saranno finanziamenti a fondo perduto alcune imprese rischiano il tracollo. I Comuni invece - conclude - possono agire sui tributi locali, riducendo al minimo le aliquote compatibilmente con i bilanci. Ma ogni euro di ogni istituzione, recuperato o non speso, va destinato alle imprese».
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