Estate viterbese al Duomo, "Facciamo centro": «Imprenditori del Corso penalizzati, così da anni»

Gaetano Labellarte, negoziante di Corso Italia
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Mercoledì 22 Luglio 2020, 10:25 - Ultimo aggiornamento: 23 Luglio, 09:02
«L’estate viterbese concentrata al Duomo? Ormai ci siamo abituati, la scarsa attenzione del Comune verso le imprese non fa più notizia». Ma agita, e non poco, gli animi. A lanciare una frecciata all’amministrazione è Gaetano Labellarte, presidente di ‘Facciamo centro’ e titolare di uno dei negozi più longevi e apprezzati della città. Non se la prende con la scelta logistica, «la zona si presta, niente da dire» precisa, piuttosto con un problema per la risoluzione del quale la strada da percorrere è più difficoltosa del cambio di un nome su una brochure.

«La programmazione – spiega – manca del tutto. Lo sbilanciamento che negli anni si è venuto a creare tra l’area del Corso e quella di San Pellegrino è un processo definito, ma proprio per questo occorre mettere in campo delle forze per limitare i danni. L’emergenza sanitaria, i tempi stretti e la fretta di riuscire a chiudere entra termini ridotto il programma non reggono come scuse: da anni una parte di Viterbo è stata trascurata. Molti meno onori ma gli stessi oneri».

Sensazione di smarrimento mista a rabbia che Labellarte condivide con tanti altri commercianti al lavoro per provare a rimettere in moto il motore, e l’anima, della città uscita atrofizzata e ingrigita dall’emergenza.   
«Senza i negozi il centro è morto – continua – lo abbiamo visto nelle settimane successiva la fine del lockdown. Per restare aperti serve un flusso di persone che attualmente non è garantito: per ragioni fisiologiche e per pochezza dei provvedimenti messi in campo. La strada non è in discesa». Dito puntato, ancora una volta, contro il governo di Arena.

«Dovrebbero sforzarsi di ascoltare le parole degli imprenditori. Dovrebbero venire come quando soffia il vento della campagna elettorale», attacca Labellarte. Che poi rincara la dose: «La spinta per dei cambiamenti è partita sempre dagli esercenti. La politica, da ormai troppo questa parte, è rimasta a guardare e si è mossa solo quando l’orlo del baratro era a un passo. Un esempio? Il suolo pubblico per ristoranti e bar: una vetrina bellissima per la città e un provvedimento che era stato chiesto da tempo. C’è voluto il Covid per farlo».

Tempo che passa e non aspetta con i consumi che faticano a riprendere e una situazione che si appesantisce: «Ci aspettavamo una risposta migliore – conclude – i mesi di lavoro persi non saranno recuperati. L’abbigliamento, già sofferente, sta pagando lo scotto più duro. Con il grosso delle cerimonie rimandate al 2021 poi per la ripresa dovremo aspettare, oppure rimboccarci le maniche: la seconda ipotesi è la migliore».
 
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